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20 April 2024
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Svizzera

No a ECOPOP per non costruire muri alle frontiere

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IMG_4494-Demo-Bern-20Intervista con Guglielmo Bozzolini, membro del Comitato per una Svizzera Solidale – No a Ecopop.

La settimana scorsa il sondaggio GfS che precede sempre ogni votazione popolare ha indicato che l’iniziativa antistranieri Ecopop al momento verrebbe respinta dal 56% della popolazione (-2% rispetto ad ottobre) e approvata dal 39% (+4% ). Gli indecisi sono solo il 5%. Nonostante questo dato il Comitato per una Svizzera solidale – No a Ecopop è preoccupato e chiama alla mobilitazione finale. Chiediamo perché a Guglielmo Bozzolini, che ha animato la manifestazione con cui ottomila partecipanti il primo novembre in Piazza federale hanno avviato la campagna per il no.

Perché vi dichiarate preoccupati e chiedete di intensificare la campagna? I dati GfS prevedono una chiara vittoria dei no.

Per due motivi molto semplici. Il primo: nelle votazioni in tema d’immigrazione e di stranieri una parte dell’elettorato non dichiara come voterà, perché si vergogna di dire pubblicamente che sosterrà posizioni che vengono giudicate xenofobe. Chi invece sostiene posizioni più aperte e liberali non si vergogna di dirlo. Nel segreto dell’urna si scatenano quindi gli istinti peggiori. I sondaggi sono purtroppo influenzati da questo fenomeno. Anche in gennaio i dati GfS prevedevano una sconfitta della Masseneinwanderungsinitiative (l’iniziativa contro l’immigrazione di massa) che invece ha vinto, sia pur di poco. Il secondo motivo è invece di altra natura: bisogna vincere e vincere bene. Più no ci saranno e più il Consiglio Federale dovrà tenerne conto. Più sarà forte il No ad ECOPOP e più sarà possibile rimettere in discussione il voto del febbraio scorso e salvare gli accordi bilaterali, compresa la libera circolazione della manodopera. Più in generale: più forte sarà il no, migliore sarà il clima politico nel paese.

Molti dicono però che in fondo il popolo svizzero non ha mai sostenuto iniziative xenofobe e quindi non bisogna preoccuparsi. Alla fine vince sempre il buon senso.

E’ una posizione molto radicata nella comunità italiana, ma è sbagliatissima. Non si può dire “ma Schwarzenbach  in fondo non ha mai vinto” e dimenticarsi che negli ultimi dodici anni le posizioni “antistranieri” hanno invece sempre raccolto la maggioranza dei voti: dal no alla cittadinanza agevolata per le seconde e terze generazioni, ai si alle restrizioni nelle leggi sugli stranieri e sull’asilo, o all’approvazione dell’iniziativa sulle espulsioni  (Ausschaffungsinitiative), fino all’accanimento contro le persone di fede islamica con la proibizione della costruzione dei minareti e il ridicolo divieto del burka introdotto in Canton Ticino. Un amico kossovaro mi ripete spesso che noi italiani diciamo sempre che Schwarzenbach non ha vinto e non consideriamo che Blocher e l’UDC invece hanno vinto sempre e vincono adesso. L’UDC questa volta non sostiene a livello nazionale l’iniziativa, ma ormai il seme che ha seminato con abbondanza in questi anni, il seme della pianta del razzismo e della xenofobia, ha sviluppato radici profonde e da i suoi frutti malati. La realtà di questo paese è meno bella e romantica di quanto molti di noi amino pensare.

Questa volta però sono in ballo gli interessi dell’economia e gli ambienti padronali si sono impegnati molto nella campagna.

Anche qui bisogna fare due considerazioni. Anche in febbraio erano in gioco gli interessi economici del paese, ma lo stretto rapporto tra l’élite economica e gli elettori, in particolare il ceto medio, su cui si è retta la politica svizzera da sempre, è in buona parte compromesso. Lo confermano gli studi sull’atteggiamento verso l’Europa pubblicati in questi giorni dai giornali. Non si può quindi dare per scontato che la campagna coordinata dal comitato borghese contro l’iniziativa, basti per vincere. Anzi. E’ estremamente necessario che prosegua anche la campagna progressista portata avanti dai sindacati, dalle organizzazioni dei migranti e dai partiti della sinistra, che spiega le ragioni sociali, politiche e culturali del no. Per questo abbiamo chiamato il nostro comitato “per una Svizzera solidale” e lo slogan e i discorsi della manifestazione del primo novembre parlavano di una Svizzera aperta e solidale.

Cosa farete quindi in questi giorni?

Stiamo aumentando gli sforzi per raggiungere il maggior numero possibile di persone. Da questo punto di vista la comunità italiana è essenziale. Ci sono quasi trecentomila cittadini italiani con passaporto svizzero, doppi cittadini insomma. Non possono dichiararsi estranei. Parafrasando De Andrè non possiamo “considerarci assolti, siamo per sempre coinvolti”. Siamo una parte fondamentale di questa società e dobbiamo dare un contributo per una Svizzera che non costruisca muri alle frontiere e non si chiuda in sé stessa. E’ il nostro ruolo naturale.

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