Condanna di sette anni per Salvatore Cuffaro con l’aggravante di avere agevolato la mafia. È la sentenza emessa, il 23 gennaio scorso, dalla terza sezione della Corte d’appello di Palermo presieduta da Giancarlo Trizzino, dopo quasi 25 ore di camera di consiglio.
La sentenza del processo di primo grado, emessa dal Tribunale di Palermo presieduto da Vittorio Alcamo il 18 gennaio del 2008, aveva condannato l’allora presidente della Regione Siciliana a cinque anni per favoreggiamento semplice. Il Tribunale aveva infatti escluso l’aggravante, contestata dalla Procura, di aver favorito Cosa Nostra. Nei confronti di Totò Cuffaro, Giorgio Riolo e Michele Aiello, il manager delle cliniche Atm e Villa Santa Teresa di Bagheria, i giudici hanno pienamente accolto l’appello presentato dai pm di primo grado Giuseppe Pignatone, Maurizio de Lucia e Michele Prestipino e sostenuto nel processo di secondo grado dai Pg Daniela Giglio e Enza Sabatino.
All’ex maresciallo del Ros Riolo è stato riconosciuto il concorso esterno e non più il favoreggiamento aggravato e la pena è aumentata di un anno rispetto al primo grado, da sette a otto anni.
Per Aiello, l’ex re della sanità privata, accusato di essere il regista della rete di informatori che carpiva le informazioni investigative antimafia, non è cambiato nulla dal punto di vista dell’imputazione e dei fatti, ma la pena è stata aumentata da 14 a 15 anni e sette mesi.
Nei confronti dell’ex presidente della Regione siciliana scatta l’aggravante per il cosiddetto “episodio Guttadauro”. L’attuale senatore dell’Udc avrebbe messo il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro in condizione di scoprire una microspia nel salotto di casa e questo è un fatto che, secondo l’accusa e secondo la terza sezione della Corte D’Appello, presieduta da Giancarlo Trizzino, a latere il relatore Ignazio Pardo e Gaetano La Barbera, ha favorito l’intera associazione mafiosa. Per il resto la sentenza è stata confermata del tutto ed è stata soltanto dichiarata prescritta la pena nei confronti di Michele Giambruno, che in primo grado aveva avuto nove mesi.
Le altre condanne sono così quelle di primo grado: Lorenzo Iannì quattro anni e mezzo, così come Aldo Carcione. Giacomo Venezia tre anni, Angelo Calaciura due anni, Roberto Rotondo un anno, Salvatore Prestigiacomo nove mesi, Antonella Buttitta sei mesi. Adriana La Barbera è morta e i giudici hanno dichiarato di non doversi procedere per il decesso.
Aiello è stato condannato pure alla rifusione delle spese processuali al Comune di Bagheria e alla Azienda sanitaria provinciale che si era costituita parte civile contro di lui.
Per i pubblici ministeri di primo grado la sentenza del processo Talpe alla Dda “conferma un metodo investigativo e processuale”, per i magistrati che hanno sostenuto l’accusa in appello (Daniela Giglio e Enza Sabatino), invece, “la Corte ha saputo rimeditare il materiale processuale e, sulla base degli stessi elementi già esaminati dal tribunale, ha ritenuto sussistente l’aggravante di avere agevolato la mafia”.
Nessuno di coloro che rappresentò la Procura in tribunale è ancora nell’ufficio diretto da Francesco Messineo: Giuseppe Pignatone è il capo della Dda di Reggio Calabria, Michele Prestipino è il suo aggiunto, Maurizio De Lucia è andato invece alla Direzione nazionale antimafia. È proprio De Lucia, dopo la sentenza, a parlare del successo di “un metodo condiviso all’interno della Procura, che già aveva trovato conferma in primo grado. I giudici ora hanno riconosciuto anche gli elementi che ci avevano spinto ad impugnare la sentenza del tribunale”.
La scelta del pool di Pignatone, nonostante le durissime polemiche interne all’ufficio, era stata puntare su elementi concreti: i fatti contestati a Cuffaro erano due fughe di notizie e non la serie di vicende su cui la Procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio dello stesso senatore dell’Udc per concorso in associazione mafiosa.
“È una sentenza giusta – aggiungono i pg Giglio e Sabatino – e in questo momento particolare, in cui le organizzazioni criminali rialzano la testa, si alza il livello della risposta dello Stato”.
Daniela Giglio era stata anche il pg del processo di appello contro Giulio Andreotti, che in secondo grado, dopo l’assoluzione in tribunale, si vide dichiarare la prescrizione per una parte delle accuse. I giudici, accogliendo in parte l’appello del pg Giglio, dissero cioè che Andreotti fino alla primavera del 1980 era stato vicino a Cosa nostra, ma l’accusa era caduta in prescrizione. Adesso la parola passa alla Cassazione, mentre pende sulla testa dell’ex governatore anche la richiesta di rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa.
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