Alla fine della settimana è attesa l’approvazione in Commissione Affari Costituzionali della legge istituzionale
Settimana decisiva per il destino del sistema politico italiano. La Commissione Affari Costituzionali del Senato voterà la riforma dell’architettura istituzionale, una riforma immaginata alla fine degli anni ’80, quando Craxi lanciò l’idea di una “grande riforma” che snellisse e modernizzasse le istituzioni, cioè Camera, Senato, Governo e relativi poteri e ambiti di competenza. Un solo esempio per tutti: il doppione di Camera e Senato. In Italia una legge deve passare attraverso la discussione di una delle due Camere, attraverso passaggi e procedimenti lunghi. Dopo l’approvazione di un ramo del Parlamento, la legge deve ricominciare il suo iter nell’altra Camera. Se l’approva esattamente come è stata approvata dalla prima Camera, allora diventa legge, ma se c’è anche una sola modifica, il testo deve ritornare all’altro ramo del Parlamento per l’approvazione definitiva. Insomma, un cammino lungo e pieno di ostacoli. In nessun altro Paese al mondo esistono due Camere perfettamente identiche. Alla fine degli anni ’90 il centrosinistra iniziò a fare la riforma istituzionale, ma essa fu contrastata anche al proprio interno. Alla fine, fu approvata qualche mese prima della fine della legislatura per un solo voto. Quella legge – ancora in vigore – ha provocato più danni che altro, come riconoscono coloro stessi che la votarono. Tra il 2001 e il 2006 ci provò il centrodestra a riformare le istituzioni. La riforma fu approvata nel 2005, ma siccome passò a maggioranza senza i due terzi necessari per diventare operativa, ci fu chi raccolse le firme per un referendum abrogativo. Nel 2006 vinse di nuovo il centrosinistra, che governò per due anni. Due mesi dopo la vittoria di Prodi si tenne il referendum, che abrogò la legge costituzionale del centrodestra.
Quella legge conteneva varie novità, a cominciare dalla diminuzione del numero dei deputati e senatori, passando per l’abolizione delle due Camere con identiche competenze e per l’istituzione di un Senato federale rappresentato in gran parte dalle regioni in proporzione al numero degli abitanti, e puntando a garantire maggiori poteri al presidente del Consiglio (ad esempio: nomina e revoca dei ministri e potere di scioglimento delle Camere). Quella legge, abbiamo detto, fu bocciata per referendum. Ora, appunto, la Commissione Affari Costituzionale del Senato prova a formulare una nuova proposta condivisa, ma già si sa che conterrà in gran parte i punti rifiutati in seguito a referendum per motivi esclusivamente di parte, come avviene spesso in Italia. Cioè: una legge viene ritenuta valida se sono io a proporla, da bocciare se è il mio avversario, e magari il testo è lo stesso.
Vedremo, dopo la pubblicazione del testo della Commissione, come sarà in dettaglio la riforma. Per ora, si è fermata anche la discussione sulla legge elettorale. Prima, infatti, di una decisione, anche qui condivisa (e non sarà facile), è necessario sapere quanti saranno i deputati e i senatori previsti dalla riforma istituzionale. Le ipotesi in discussione sono due: il sistema uninominale a doppio turno e il sistema proporzionale con premio di maggioranza (ridotto tra il 2 e il 5%) non alla coalizione ma al partito che ha più voti. Da una parte centristi e centrodestra che non amano il collegio uninominale a doppio turno, perché significherebbe al secondo turno ricercare le alleanze e ciò a destra sembra essere più difficile che a sinistra e perché c’è il timore che al secondo turno la partecipazione possa essere minore e quindi avvantaggiare i partiti più ideologici, tradizionalmente più organizzati. Dall’altra, il centrosinistra che lo preferisce per i motivi esattamente opposti a quelli addotti dal centrodestra. Per i centristi, il discorso potrebbe essere diverso, nel senso che in quanto tali potrebbero allearsi ora con il centrosinistra ora con il centrodestra. La realtà è che i centristi – sebbene Casini in una lettera al Corriere della Sera sembri aprire a questo sistema qualora non fosse possibile percorrere altre vie – con il sistema uninominale avrebbero poche chance di arrivare con un loro uomo al secondo turno, quindi dovrebbero accontentarsi comunque di fare la ruota di scorta o, in alternativa, stringere alleanze già prima del primo turno.
Resta il fatto che mentre per le riforme istituzionali il tempo stringe in quanto essendo di tipo costituzionale la riforma ha bisogno di un doppio passaggio in ciascuna delle Camere a distanza di tre mesi, per la riforma elettorale il tempo è maggiore e, in ogni caso, bene o male una legge già c’è, la quale tra l’altro garantisce il sistema bipolare.