Il Qatar vuole la guida di una coalizione militare in Libia in sostituzione della Nato
Primi risultati delle “primavere arabe”: alle elezioni per l’Assemblea costituente in Tunisia il partito che raggiunge quasi il 40 per cento dei voti è Ennahda, ossia il partito islamista. Il secondo partito, laico, si ferma al 15%, tutti gli altri si devono accontentare delle briciole. La coalizione sarà dunque a guida musulmana. La democrazia, si dirà, è questa: vince chi ha più voti. Inutile negarlo: è vero, e di questo bisogna prenderne atto. C’è solo un piccolo particolare, per adesso solo un dubbio, ma che fra non molto potrebbe essere una dura realtà: e se a una dittatura seguirà un’altra dittatura? Non era meglio una dittatura laica più blanda, quella di Ben Alì, a una che magari sarà una dittatura senza aggettivi? Ripetiamo, per adesso è solo un dubbio e qui dobbiamo fermarci, nella speranza di essere smentiti. Ciò che si sta verificando in Libia, però, autorizza le preoccupazioni più fosche. Da una parte è giunta improvvisa e minacciosa la dichiarazione del presidente del Consiglio nazionale transitorio, Abdel Jalil, secondo cui la nuova Costituzione libica dovrà poggiare sulla sharia, la legge coranica, dall’altra è spuntata la candidatura del Qatar a guida di una coalizione militare che dovrà sostituire la Nato e garantire la fase di transizione. Le due notizie non prefigurano nulla di buono non tanto per la figura di Jalil, che è un religioso moderato, quanto perché una volta che la Libia diventerà a guida del partito islamico si potrà dire addio non solo alla democrazia sognata ma anche ad una società laica con una limitata libertà, come era quella egiziana sotto Mubarack o sotto Ben Alì o sotto lo stesso Gheddafi che, quantomeno, un certo benessere negli ultimi vent’anni aveva garantito alla sua nazione con una media di circa 8-9 mila dollari all’anno pro capite, rispetto ai circa 3000 dell’Egitto e ai 1500-2000 della Tunisia. L’altra notizia, in quanto a prospettiva, è complementare alla prima. Il Qatar è un Paese dove vige la dittatura religiosa dell’emiro Hamad bin Khalifa al-Thani, il proprietario di Al Jazeera, la televisione che all’inizio della rivolta in Libia fece una serie di scoop – poi rivelatisi falsi – sul numero dei morti tra i manifestanti (si parlava di 10 mila) e sul ritrovamento di fosse comuni, anche queste rivelatesi un falso. In realtà, come fu poi rivelato da storici occidentali, si trattava di un cimitero. Ebbene, il Qatar era interessato ad ingigantire la rivolta in Libia in odio non tanto ad un dittatore (Hamad lo è moltiplicato per 10 rispetto a Gheddafi) quanto in odio a Gheddafi laico. Insomma, il più favorevole all’intervento della Nato per spazzare via Gheddafi era quell’emiro che in Libia voleva e vuole instaurare il potere islamico. La candidatura del Qatar alla guida di una coalizione sostitutiva della Nato è dunque funzionale all’obiettivo politico sul dopo Gheddafi in Libia: una prospettiva inquietante. A sostenere la candidatura del Qatar, che in Libia dispone già di centinaia di militari, è – tenetevi forte – il presidente francese Sarkozy, quello delle tre magiche parole: liberté, égalité, fraternité. Si dirà: possibile? Ebbene sì, è vero, c’è un vecchio, consolidato rapporto tra l’emiro del Qatar e Sarkozy, fatto di scambio di interessi politico-economici e anche di favori. Nel 2007, all’indomani dell’arresto di 5 infermiere bulgare e un palestinese, accusati da Gheddafi di aver diffuso l’Aids nell’ospedale di Bengasi, l’allora moglie di Sarkozy ottenne la liberazione degli arrestati con i 320 milioni di euro messi a sua disposizione proprio dall’emiro del Qatar per convincere Gheddafi. Sarkozy, però, non è un benefattore o un filantropo, quell’operazione era solo il primo di una serie di scambi per accreditarsi lui come il jolly della politica estera mediorientale e l’emiro come il suo fedele, interessato alleato ed avere mano libera in Medio Oriente e all’occorrenza in Nord Africa. Nel 2009, infatti, guarda caso, una legge voluta dal presidente francese esentava il Qatar dal pagamento delle tasse sui numerosissimi immobili acquistati in Francia. Tutti questi riferimenti sono apparsi su Le Monde e non sono affatto campati in aria. Ora, come dicevamo, la sponsorizzazione della candidatura del Qatar da parte del presidente francese, per gestire in futuro in Libia affari e investimenti con la protezione del suo potente alleato. Si spiega così anche l’accelerazione che Sarkozy diede all’intervento Nato in Libia. Che dire? C’è da augurarsi che i Paesi dell’Alleanza non cadano nel tranello e contrastino queste mire che con la pace e la democrazia non hanno nulla a che vedere. [email protected]