Roberto Maroni riparte dal territorio e mette il Nord al centro dell’iniziativa politica della Lega
Tornano i desapparecidos – chiariamo subito non in senso dispregiativo – pressoché dimenticati negli ultimi dieci mesi: la Lega e Giulio Tremonti. La Lega, come si sa, non è più quella di Bossi, ma quella di Roberto Maroni, apprezzato ex ministro degli Interni dell’ultimo governo Berlusconi, colui che dopo lo scandalo dei rimborsi elettorali dilapidati da Belsito e dai figli di Umberto, ha con forza preso le redini della Lega e sta tentando di farla rinascere.
Già Bossi si era staccato dal Pdl dopo che quest’ultimo aveva appoggiato Monti. Ne nacque un contrasto con invito a fare ammenda e tornare alle urne, ma Berlusconi voleva mantenere l’alleanza con la Lega e nello stesso tempo appoggiare Monti in nome del bene dell’Italia. Così, inevitabilmente, le strade si sono separate ma non divise definitivamente. Ci provò Maroni stesso, all’indomani della sua elezione a presidente della Lega, alla fine di giugno, a rivendicare la Lombardia, ma dovette tornare a miti consigli quando gli fu detto che se avesse fatto cadere Formigoni, sarebbero caduti anche Cota (Piemonte) e Zaia (Veneto). Da allora Maroni si è dedicato al rilancio della Lega e non mettiamo in dubbio che possa farcela. L’ex ministro degli interni ha operato una piccola rivoluzione. Intanto il messaggio, che recita: “Prima il Nord”. Maroni non si rivolge ai siciliani, ma ai “padani”, anche se questo aggettivo ha perso della sua carica folcloristica. Maroni, infatti, ha cancellato la secessione e la lotta armata – comunque già solo verbale che reale – e ha messo l’accento sul federalismo dell’eurozona e sull’indipendenza della macroregione del Nord, da raggiungere attraverso un referendum e una modifica della Costituzione, si presume di là da venire, giusto per non rompere con le parole d’ordine del passato.
In realtà, Maroni si rivolge agli imprenditori e anche agli operai del Nord: qui si produce la ricchezza e qui in buona parte deve restare, chiedendo meno tasse sul lavoro, l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e l’abolizione del fiscal compact e del rigore dei conti a discapito dello sviluppo. Maroni è stato chiaro: “Niente più ampolle e riti celtici, vogliamo prendere il testimone della rivoluzione liberale che Berlusconi, non per colpa sua, non è riuscito a portare a termine. Solo un partito territoriale può farcela”. “E’ difficile”, prosegue Maroni, “fare alleanze con chi sostiene Monti, ma vedo segnali di ravvedimento” nel Pdl. Dunque, Maroni apre uno spiraglio al suo vecchio alleato, e non potrebbe fare altrimenti. Scegliere Fini e Casini significherebbe impantanarsi nella palude ex democristiana, scegliere il Pd sarebbe improponibile, sia per il Pd che per la Lega. Tra la Lega e Di Pietro non corre buon sangue, figuriamoci con Vendola, nemico degl’imprenditori considerati ottocentescamente “padroni”. Libero dagli impegni di governo, Maroni cura il territorio del Nord battendo città e paesi e, a giudicare dalla folla, con successo. Non stupirebbe se alle prossime elezioni avesse recuperato la vecchia forza elettorale della Lega. E’ un traguardo a portata di mano. La Lega non è sparita, si sta solo riorganizzando e rinnovando.
E veniamo al secondo desapparecido, lui sì sparito per alcuni mesi: l’ex potente e sempre intelligente Giulio Tremonti, dal carattere ruvido e sbrigativo. La sua battaglia è stata all’inizio, sia con libri che con qualche intervista, di dimostrare che la crisi del governo Berlusconi non sarebbe dipesa da lui, ma prese le mosse “nell’estate del 2011, quando cominciò la guerra mondiale dei debiti e la crisi sovrana dell’Europa. Andai da Berlusconi e, davanti a testimoni, gli dissi in inglese: ‘vula bass e schiva i sass’. Lui scelse la via opposta. Disse che occorreva coraggio non prudenza, e bisognava abbassare le tasse. In Europa s’impegnò al pareggio di bilancio nel 2013, per poi aggirarlo con la complicità del Parlamento. Così crollò la fiducia nell’Italia. E crollò tutto”.
L’iniziativa di Tremonti in questi mesi è stata rivolta tutta a riabilitarsi come “genio” dell’economia, dimenticando che i rapporti tesi all’interno del governo erano colpa soprattutto del suo carattere intrattabile e del suo spirito accentratore. Giulio Tremonti, comunque, rimane un personaggio di alta statura tecnica e politica, con idee chiare e con proposte concrete. Ha fondato un partito, denominato “Manifesto 3L”, L come lista, L come lavoro, L come libertà, con lo slogan “Avanti insieme”, laddove Avanti sta per la testata storica dei socialisti italiani, da cui Tremonti proviene, e Insieme richiama i valori cattolici, insomma, la sua lista è un incontro di socialisti e cattolici, con messaggi ai giovani e 40 proposte, tutte interessanti, per rilanciare l’Italia con nuove regole. Si va dal progetto “compra Italia”, l’acquisto cioè del debito pubblico da parte degli stessi italiani che investono sui titoli “esenti da ogni imposta presente e futura”, a una “banca pubblica per l’economia”, sul modello della Kfw tedesca, per il credito alle imprese. Da un referendum propositivo sull’Europa alla ricerca, alla medicina, eccetera. Tutte proposte interessanti ed intelligenti.
Tremonti ha ufficialmente presentato il suo partito agli italiani in un congresso fondativo a Riccione, zeppo di giovani, con lo scopo di presentarsi da solo alle elezioni. Riuscirà a raccogliere voti o resterà una testimonianza puramente intellettuale e politica? Di questi tempi non è facile passare da una leadership solitaria a una leadership di massa.