Parlando dell’offensiva degli alleati in Afghanistan, abbiamo indicato le tre direttrici lungo le quali si snoda il nuovo piano voluto dal generale McChrystal: stabilizzazione delle istituzioni civili, dialogo con le tribù e aiuti alla popolazione che si distacca da Al Qaeda e occupazione militare del territorio liberato per evitare le vendette dei terroristi.
La nuova fase è già iniziata. I militari alleati hanno espugnato la roccaforte talebana di Marjah, ma la controffensiva dei terroristi non si è fatta attendere. A Kabul ci sono state esplosioni di auto e gruppi di kamikaze che si sono fatti saltare in aria vicino agli alberghi dove alloggiavano gli stranieri.
L’obiettivo erano gli indiani. Ne sono morti sei e altri dieci tra locali e stranieri, tra cui Pietro Antonio Colazzo, 47 anni, numero due dell’Aise, l’agenzia informazioni e sicurezza esterna. L’agente italiano, originario di Galatina (Lecce), ma residente a Ladispoli (Roma), è morto crivellato di colpi mentre informava le forze di polizia locale su ciò che stava avvenendo fuori dall’albergo Park Residence. Lui si trovava dentro l’albergo, guardava fuori per vedere dove stavano e quanti erano i terroristi e con il telefonino dava informazioni. I terroristi hanno capito che era in contatto con la polizia, sono entrati nell’albergo e l’hanno freddato. Le sue informazioni hanno permesso di salvare altre vite umane.
Le offensive in Afghanistan sono due: quella degli alleati, decisi ad andare fino in fondo, e quella dei terroristi, anche loro decisi a non arrendersi. Da ora in poi l’Afghanistan diventerà una polveriera.
Spostiamoci in Iran, dove le strade di Teheran sono piene di persone che pendono dalla forca: è la vendetta del regime contro la protesta dei cittadini, mandati a morte senza un vero processo, solo perché hanno manifestato contro i brogli elettorali del presidente Ahmadinejad, sostenuto dalla Guida Suprema Alì Khamenei. Il regime, dopo il discorso di Berlusconi alla Knesset israeliana, ha aggiunto un altro nemico: l’Italia. Ma è proprio grazie ad un eurodeputato italiano, Potito Salatto, che due giovani iraniani sono stati salvati dall’impiccagione.
Ecco come è andata la vicenda. L’on. Salatto è uno dei deputati che fa parte della Delegazione dell’Europarlamento per i rapporti con l’Iran. Tempo fa, una delegazione di eurodeputati si sarebbe dovuta recare in Iran ma, a causa delle proteste, la riunione non si è più tenuta. Quando il Parlamento iraniano ha fatto sapere che la riunione si sarebbe potuta tenere, l’eurodeputato ha avanzato la proposta al Parlamento iraniano di dichiarare una moratoria di 4 mesi sulla pena di morte, condizione per la riunione euro-iraniana.
Diamo la parola a lui: “Nel frattempo, l’opposizione ci ha informato di quei due giovani arrestati, condannati a morte e fuggiti in Turchia. D’intesa con Mario Mauro, capogruppo del Ppe, ho contattato subito l’ambasciatore turco presso la Ue, che avevo conosciuto a Bruxelles, e gli ho chiesto di fermare quell’auto della polizia che andava verso il confine (e che riportava in Iran i due giovani condannati a morte, ndr.). Lui ci è riuscito. E poi, a sua volta, mi ha rivolto qualche domanda di cauto sondaggio sulla possibilità che il nostro Paese accolga i due iraniani”.
L’on. Salatto si è messo in contatto con il ministro per le Politiche comunitarie, che a sua volta ha parlato con il ministro Frattini, e così per i due giovani iraniani si sono aperte le porte dell’asilo politico in Italia. Sicuramente questo episodio provocherà le rimostranze del regime iraniano contro l’Italia, ma ormai la scelta di campo è fatta.
L’altro episodio di politica internazionale degno di menzione è la guerra santa dichiarata da Gheddafi alla Svizzera con la motivazione che il popolo elvetico ha posto l’alt a nuovi minareti. Qui bisogna essere chiari. Secondo noi, la Svizzera ha ragione. Tutto è nato nel 2008, quando in Svizzera vengono arrestati il figlio di Gheddafi, Hannibal, e sua moglie, per violenze commesse ai danni di due domestici che li avevano denunciati.
I coniugi Gheddafi uscirono di prigione solo dopo aver pagato una cauzione. Da allora è stato un crescendo di ripicche da parte del colonnello libico che ha fatto ritirare fondi dalle banche elvetiche, bloccato la vendita di petrolio e arrestato due uomini d’affari elvetici.
La Svizzera ha reagito con una lista nera di 188 libici a cui vietare l’ingresso, tra cui Gheddafi in persona e i membri del governo libico. Recentemente, il colonnello ha replicato con il blocco dei visti ai cittadini dei 25 Paesi Schengen. Fin qui i fatti, nati in seguito all’arresto di Hannibal e sua moglie perché costoro erano stati denunciati per violenze e dal momento che in Svizzera la legge viene fatta rispettare senza guardare in faccia nessuno, ciò ha provocato l’ira del colonnello.
Se la Svizzera ha ragione, gli altri Paesi Schengen si trovano di fronte ad una scelta imbarazzante: dare ragione alla Svizzera e provocare i ricatti economici (petrolio e gas) e politici (porte aperte al flusso dei clandestini) oppure percorrere la via diplomatica, lunga e defatigante e in un certo senso darla vinta a Gheddafi, cioè a un dittatore capriccioso e anche pericoloso?
Il dilemma è tutto qui ed abbiamo l’impressione che la Svizzera sola debba sbloccare la situazione con atti di distensione, in modo da permettere ai Paesi europei di intervenire presso Gheddafi per far decantare la situazione.