La Knox afferma di essere stata picchiata e chiamata “stupida bugiarda”
“Tutto ciò che ho detto l’ho detto sotto pressione, mi è stato suggerito dal pubblico ministero. Loro (la polizia ndr) suggerivano la via. Sotto pressione ho immaginato tante cose diverse”: così Amanda Knox, nell’aula della Corte d’Assise di Perugia, durante l’interrogatorio nel processo che la vede imputata – insieme a Raffaele Sollecito – per la morte della studentessa inglese Meredith Kercher, risponde alle domande dell’avvocato Carlo Pacelli, che rappresenta Patrick Lumumba come parte civile, ricordando la notte del suo primo interrogatorio in Questura, cinque giorni dopo il delitto – quando indicò il musicista congolese come autore dell’omicidio della studentessa inglese. Si tratta di “dichiarazioni prese contro la mia volontà” ha raccontato Amanda. “Le ha suggerito la polizia di dire che Meredith aveva fatto sesso la notte dell’omicidio?”: alla domanda del legale di Lumumba, la ragazza di Seattle risponde affermativamente, sostenendo poi di essere stata picchiata e chiamata ripetutamente “stupida bugiarda” nel corso degli interrogatori. Amanda ha poi spiegato di essersi recata in Questura, quella notte, avendo paura di stare da sola “perché non avevano trovato chi aveva fatto
questa cosa”. “Quando ho detto Patrick non sapevo se ero colpevole o no. Sapevo solo che non ero là” afferma infine riferendosi alla casa dove è morta Meredith. La Knox ha negato di aver incontrato Patrick Lumumba – ma ha affermato di aver scambiato con lui solo pochi messaggi – e ha negato di essere stata nella casa del delitto la sera del primo novembre 2007, quando Meredith fu uccisa. Le pressioni che la Knox dichiara di aver subito non sono state confermate da nessuno dei testimoni sentiti nel processo. Amanda si è presentata in aula vestita con camicetta e pantaloni chiari, i capelli raccolti a coda: in aula il padre Kurt e Raffaele Sollecito. “Ascoltate una nuova Amanda – ha detto il padre accogliendola in aula – non la dark angel descritta finora”.