Settimana politica intensa: no all’arresto di Cosentino e non ammissibilità del referendum sull’abrogazione della legge elettorale proposto da IdV e Pd
Il 19 gennaio, alla vigilia dell’incontro europeo, il premier Mario Monti vuole presentarsi all’appuntamento internazionale con il primo decreto sulle liberalizzazioni che riguardano i taxisti, le farmacie e le professioni, “senza sconti per nessuno”, come ha avuto modo di affermare alcuni giorni fa, annunciando un decreto al mese. La determinazione del premier si scontra con gl’interessi delle corporazioni che si sono messi in agitazione dichiarando scioperi e manifestazioni di protesta. Avranno anche una qualche ragione, ma è certo che così la situazione non può andare. Hanno ragione i taxisti a dire che hanno pagato la licenza decine di migliaia di euro e che aumentarle significa più concorrenza e dunque guadagni meno sostanziosi, ma così non può andare, perché è difficile trovare un taxi a Roma o a Milano in determinate ore ed è difficile trovarli a buon mercato, per cui i prezzi sono dettati dalle lobby. Allo stesso modo, quando una farmacia si tramanda di padre in figlio come se fosse una casa, allora è evidente che tantissimi farmacisti sono costretti a lavorare alle dipendenze di un titolare alle sue condizioni, il che influisce anche sui prezzi dei medicinali bloccati dal protezionismo di casta. Dunque, si annuncia battaglia sulle liberalizzazioni e questa volta non è sicuro che i contrari alle liberalizzazioni l’abbiano vinta per l’ennesima volta. In attesa del primo decreto, la settimana scorsa è stata ricca di notizie di politica. Cominciamo dalla legge elettorale, oggetto di una richiesta di abrogazione. Il referendum è stato promosso dall’Idv ma è stato appoggiato anche dal Pd. Ebbene, la Corte Costituzionale lo ha dichiarato inammissibile, il che significa una sonora sconfitta per i promotori. La Corte Suprema non ha ravvisato nemmeno profili di incostituzionalità dell’attuale legge, per cui le cose rimangono così come sono. Se si vuole cambiare la legge, bisogna che se ne occupi il Parlamento, visto che il governo ha dichiarato la sua estraneità all’argomento in quanto Esecutivo tecnico.
Abbiamo l’impressione che ci si trovi di fronte ad una questione di difficile soluzione per risolvere la quale ci si affida alla classica commissione che non partorisce nessun cambiamento. A nostro avviso, all’attuale legge – che garantisce la rappresentanza pari al consenso ottenuto, la governabilità con il premio di maggioranza, la selezione con la soglia di sbarramento (seppure bassa, al 2% per i singoli partiti) e il bipolarismo, cioè la capacità di aggregare gli schieramenti – manca solo una cosa: la preferenza. Lo diciamo al singolare, perché le preferenze, quando c’erano, furono abolite perché si creavano voti di scambio e vinceva chi aveva più mezzi; ora che non ci sono, le si idealizza dimenticando le storture di una volta. Di preferenze ne basterebbe una sola, giusto una perché il cittadino abbia la possibilità di scegliere il proprio candidato. Di questo argomento di discute dal 2006 ma per ora le idee sono poche, e confuse, come diceva Flaiano. Proseguiamo con la richiesta di arresto del deputato del Pdl Nicola Cosentino da parte della magistratura napoletana. Nella giunta è passato l’arresto, nel voto alla Camera è passato il rifiuto dell’arresto. I no sono stati 309 contro i 298 sì. In pratica una piccola parte della Lega (Maroni e i suoi) ha votato sì all’arresto e i sei radicali hanno votato no, insieme alla vecchia maggioranza Pdl-Lega. È questo il dato politico: la vecchia maggioranza non solo esiste ma si è ricompattata, mentre il Pd ha perso i radicali. In sostanza, il centrodestra conserva la maggioranza sia al Senato che alla Camera ma sul sostegno a Monti Berlusconi dice sì, Bossi no. Da segnalare che Bossi ha minacciato di votare l’arresto, ma solo minacciato. Poi, quando si è trattato di votare per davvero, ha detto di no, cioè non ha rotto con il Pdl, riconoscendo che le accuse sono fumose. Da ricordare che il Pd votò contro l’arresto quando si trattava di salvare un suo uomo, Tedesco, ha votato sì quando si è trattato di un avversario. Chiudiamo con il declassamento dell’Italia di due punti da parte dell’agenzia di rating internazionale. Da sola, questa notizia sarebbe un disastro. In realtà è stata declassata la Francia, che ha perso la tripla A, l’Austria e la Spagna. Non si tratta del “mal comune mezzo gaudio”, ma della debolezza dell’euro e soprattutto della bocciatura della politica europea verso l’euro e dei poteri inesistenti della Bce. L’Italia è declassata non per colpe italiane, ma, appunto, per colpe europee. Monti ha detto che i compiti l’Italia li ha fatti e continua a farli, che non è più l’Italia l’anello debole, ma l’Europa. C’è un cambio di prospettiva che non è da poco. Il vero declassamento è bruciante per la Francia e per il presidente Sarkozy che non più di due mesi fa ironizzava sull’Italia ed ora si trova lui in una situazione difficile, sia perché la speculazione si sta spostando verso la Francia, sia perché siamo a due mesi circa dalle elezioni presidenziali e per la sua rielezione si prevedono nubi minacciose. Finora, in tempi diversi, sono cambiati i governi di molti Paesi, dall’Inghilterra alla Spagna, dalla Grecia all’Italia: non stupirebbe che una svolta possa avvenire anche in Francia e in Germania. [email protected]