Anche se gli otto funzionari iraniani nell’Ambasciata britannica a Teheran verranno rilasciati, resta lo schiaffo del regime a Londra, che non è solo il bersaglio più debole rispetto agli Stati Uniti, è anche la via più facile per avvalorare la tesi del complotto internazionale. All’indomani dei disordini di piazza, il regime ha cercato di sedare la protesta facendola apparire come sobillata dall’esterno. Per questo furono lanciati moniti agli Usa e a Londra a “non interferire”. In sostanza, più passano i giorni e più la messa a fuoco degli avvenimenti iraniani rivela una situazione che è un autentico vespaio. Arrestando i funzionari dell’Ambasciata britannica, il regime non solo alza i toni sul complotto straniero, ma rivela la natura della vera divisione. Afferma Barbara Spinelli, su La Stampa, che i riformisti tipo Mousavi o Rafsanjani non sono quelli che noi qualifichiamo come liberal e men che meno “laici”. No, sono solo quelli che rappresentano il regime islamista, dalla cosiddetta rivoluzione komeinista del 1979 in poi, che si oppongono al regime militarista e nazionalista di Ahmadinejad che ha contro la classe sacerdotale. Scrive Fiamma Nirenstein su Il Giornale: “La verità è che la rivoluzione è basilare, radicale, e non c’entra con i leader in campo. I leader iraniani sono spaccati a metà ovunque, ma sempre dentro il regime islamista fino al collo”. La Guida Suprema Alì Kamenei prima ha appoggiato i cosiddetti riformatori tipo Rafsanjani, ora appoggia il nazionalista Ahmadinejad, perché volta per volta ognuno è funzionale al mantenimento del regime teocratico. Se è così – e le notizie apparse sui giornali dicono che l’iniziatore del programma nucleare è stato proprio Mousavi – gli unici che volevano un mondo diverso erano e sono i giovani iraniani che sono scesi in piazza e che sono stati repressi nel sangue, come probabilmente sarebbero stati repressi nel sangue anche se al governo fossero andati i cosiddetti “riformatori”. È questo il vero dramma di ciò che è accaduto nelle strade di Teheran. La giovane Neda, colpita al cuore da un cecchino del regime, sotto il velo e l’abito prescritto indossava jeans e maglietta, per l’Islam simboli di trasgressione, per i giovani di ogni Paese simboli di libertà. Per questo la cautela con cui i Paesi occidentali hanno giudicato i fatti di Teheran appare come un aiuto mancato, una speranza tradita, una condanna a morte. Vent’anni fa la repressione in Cina a Tienanmen, di cui oggi è vietato anche parlarne in Cina; quest’anno Neda e i giovani iraniani, usati dall’altra faccia del regime, e mandati a morire. Vent’anni fa come ora l’Occidente ha assistito con lacrime di coccodrillo, buone per fare bella figura solo nei salotti. È chiaro adesso perché questi stessi giovani hanno rimproverato i loro genitori, allora essi stessi giovani: nel 1979 era una falsa rivoluzione, esattamente come ora i cosiddetti riformatori sono dei falsi riformatori.
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