La condizione preliminare posta dai talebani sarebbe la liberazione di cinque terroristi rinchiusi a Guantànamo
Grandi manovre a Washington in vista delle elezioni presidenziali. Decisamente, non si può dire che Obama non ce la metta tutta per essere rieletto, sfatando la previsione di una giornalista del New York Times che aveva parlato di lui come un “presidente di un solo mandato”. Le notizie che però filtrano sia da fonte parlamentare, sia da fonte istituzionale, sono tali di accendere le polemiche, più che spegnerle. La prima notizia interessante è che la Casa Bianca è intenzionata a liberare 5 detenuti da Guantànamo, dove sono rinchiusi i terroristi. I cinque detenuti in via di liberazione sono, infatti, tutti terroristi, per giunta della peggiore specie, nel senso che secondo le carte da poker rappresentano figure di primo piano. Tanto per essere completi con le notizie riservate, ma non troppo, visto che le altre sono ufficiali, c’è da aggiungere quella diffusa da Leon Panetta, il capo del Pentagono, il quale ha annunciato che le truppe da combattimento potrebbero essere ritirate già nel 2013, un anno prima del ritiro definitivo di tutte le forze dall’Afghanistan. Significa che la guerra guerreggiata potrebbe aver fine nel 2013, dunque a partire da tale data nessuna guerra più in Afghanistan, ma solo truppe di addestramento. In fondo, è ciò che aveva detto anche Hamid Karzai in un’intervista al Corriere della Sera. Il presidente afghano aveva affermato che se anche gli alleati si ritirassero prima, non “ci sarebbero stati problemi”, il Paese era pronto a questa evenienza. La realtà è che queste notizie non vengono diffuse per caso, ma rientrano in un piano i cui aspetti a pocoa poco cominciano ad essere più chiari anche agli osservatori. Contemporaneamente alle notizie riservate e ufficiali appena citate, ce n’è un’altra di particolare importanza, ed è che l’inviato di Washington Marc Grossman ha iniziato una trattativa con i talebani per trovare l’accordo su una convivenza pacifica tra i vari gruppi rappresentati dal governo Karzai e i talebani stessi. In sostanza – e questo non può essere che un fatto positivo – dopo 11 anni di guerra si cerca di trovare la pace tra le varie fazioni, una pace che non sia una guerra civile dopo la partenza delle truppe alleate.
I talebani si sono seduti al tavolo delle trattative e come impegno di serietà per continuare a trattare, hanno posto una condizione preliminare: la liberazione di cinque prigionieri, da essi stessi indicati, detenuti, appunto, nel carcere di massima sicurezza, quello di Guantànamo. L’inviato di Washington ha accettato la condizione, e ha cominciato le procedure per far trasferire i prigionieri in un Paese terzo. Qui, verrebbero liberati immediatamente 3 detenuti, gli altri due verrebbero tenuti in carcere fino a trattativa ultimata, insomma, una sorta di pegno a garanzia della serietà delle trattative stesse. Ovviamente, si sa delle trattative, ma delle condizioni no, tanto è vero che queste notizie sono state smentite dal portavoce della Casa Bianca, Tommy Vietor. Su di esse, però, hanno polemizzato i repubblicani, intravedendo una merce di scambio. Noi liberiamo i prigionieri, seppure in due tempi, e voi farete intercorrere un periodo di tempo sufficientemente lungo prima di riprendere le ostilità in patria, in modo da non attribuire alla partenza degli alleati un rapporto di causa e effetto. In sostanza, la trattativa tra l’inviato di Washington e i talebani non sarebbe una trattativa di pace, ma un’uscita di sicurezza degli alleati, stanchi di tanti anni di guerra, di tante perdite e anche delusi dai risultati che non sono gran che, nonostante le parole contrarie di Karzai, che comunque nel 2014 dovrà porre fine al suo incarico e sicuramente non sarà più rieletto, ammesso che si ripresenti. A questo punto, è comprensibile l’euforia che regna tra i talebani, i quali, secondo un rapporto della Nato, sarebbero sicuri di riconquistare il potere in Afghanistan senza grosse difficoltà, una volta partiti definitivamente gli alleati, almeno le truppe da combattimento. A elezioni presidenziali americane avvenute, con l’insediamento previsto il 20 gennaio, l’attuale presidente potrebbe dire di aver ritirato le truppe da combattimento, di aver messo fine alla guerra e subito dopo comincerebbe l’offensiva dei talebani per la riconquista del potere in Afghanistan, magari senza aspettare la fine del 2014. Senza truppe da combattimento, infatti, i talebani non incontrerebbero nessun ostacolo alle loro intenzioni. Il presidente Usa, d’altra parte, lo potrebbe dire a elezioni avvenute, ma anche e soprattutto prima, per vincerle. Se così fosse, Obama saprebbe ben muoversi sulla scena politica interna e internazionale, ma lascerebbe una serie di dubbi sulla utilità di una lunga guerra senza nessun risultato, né per l’America, né per l’Afghanistan e né per i Paesi alleati che avrebbero speso risorse ingenti e vite umane solo per un gioco di potere.