Il Washington Post ha pubblicato una notizia secondo cui il ministro della Difesa Usa, Leon Panetta, ha dichiarato di ritenere possibile che Israele colpirà l’Iran entro la primavera prossima. Se un’opinione del genere proviene da un ministro della Difesa di una grande potenza come gli Usa, vuol dire che c’è del vero. D’altra parte, nessun ministro potrebbe fare impunemente un’affermazione falsa di questa portata. Se dunque ha fatto questa dichiarazione, era esattamente per farlo sapere in giro. Che ci sia l’ipotesi di un intervento israeliano per colpire i siti atomici iraniani, non è una novità. La notizia era stata già data più tre mesi fa, quando addirittura fu svelato un retroscena plausibile, cioè che Israele avrebbe sorvolato lo spazio aereo dell’Arabia Saudita, per qualche tempo lasciato di proposito senza copertura radar. Se quest’ipotesi non è stata accantonata, ma ritorna e viene addirittura data per imminente, vuol dire che sono fallite tutte le altre strade per bloccare la corsa iraniana alle armi nucleari, a cominciare dai vari attentati che si sono succeduti dal mese di novembre a questa parte e che hanno avuto come vittime scienziati che lavoravano nei siti atomici. Vuol dire anche che si vuole preparare l’opinione pubblica internazionale su un avvenimento ritenuto rischioso ma necessario al punto in cui stanno le cose. Le cancellerie di mezzo mondo, dunque, devono già essere state informate di quest’eventualità, ma il ministro della Difesa Usa ha ritenuto opportuno rilanciarla ufficialmente per un altro scopo, quello di invitare tutti i Paesi occidentali a prepararsi e a schierarsi, perché si tratta di una sfida che il mondo occidentale non può perdere.
Tutti sanno che il presidente dell’Iran Mahmud Ahmadinedjad non ha mai perso occasione di minacciare pubblicamente, in vari incontri internazionali, Israele dicendo che dovrà essere “cancellato dalla faccia della terra” e tutti sanno che una volta che avrà a disposizione le armi nucleari lo farà per davvero. Fallite tutte le altre strade, non resta che l’intervento, che non può essere fatto direttamente dagli Usa o dall’Inghilterra o dalla Francia, ma da Israele stesso, per la buona ragione che è lui ad essere sotto il tiro diretto dell’Iran per su espressa ammissione e poi perché è necessario localizzare l’iniziativa. Semmai le potenze amiche potranno intervenire in un secondo momento, se sarà necessario. Il primo ministro israeliano ha fatto distribuire a ogni cittadino una maschera antigas, segno che in Israele la popolazione è al corrente dell’intervento che ormai viene giudicato inevitabile. L’inevitabilità è data proprio da un aut-aut: o Israele non interviene e verrà cancellata dalla faccia della terra (L’Iran è a un passo dalla costruzione delle armi nucleari, pronte tra sei mesi o tra un anno nella migliore delle ipotesi) o interviene ed eviterà il peggio. Il rischio è che l’Iran possa contrastare efficacemente l’intervento israeliano (i siti iraniani, in genere sotterranei, sono difesi) e contrattaccare portando guerra nel cuore di Israele stesso, coinvolgendo nell’attacco le numerose formazioni politico-militari, da Hezbollah in Libano a Hamas nella Striscia di Gaza, fino ai tanti gruppi terroristici, chiamati ad una sorta di guerra santa contro Israele che, non dimentichiamolo, è l’unica democrazia nell’intera regione. Se dovesse prospettarsi quest’eventualità, l’Occidente non potrebbe restare a guardare: tutta l’area del Medio Oriente correrebbe grossi pericoli. L’Iran non lavora per la pace, ma per la guerra: fermarlo è in fondo l’unico modo per garantire la pace, visto che tutti gli altri tentativi diplomatici sono falliti.