2° parte
Nello scorso numero del nostro settimanale abbiamo pubblicato la prima parte di questo interessantissimo racconto sulla storia di alcuni nostri connazionali che hanno trovato assistenza e un posto sicuro dove trascorrere gli anni dopo la pensione. Di seguito la seconda parte del racconto di Simona Migliorini
Giuseppina viene inserita in un’Altersheim, dove, mi racconta Annamaria, l’altra figlia nata nel 1974, “non si trovava bene, era come un ospedale, sei letti per stanza, non riusciva a parlare con la gente, non poteva comunicare, perché il tedesco lo aveva imparato lo stretto necessario. Stava buttata sopra un divano, senza parlare con nessuno. Ci diceva: io qui non faccio altro che alzarmi, mangiare, dire Guten Morgen, arriverderci e buonanotte.”. Negli uffici della Sozialamt di Zurigo hanno avuto informazioni sull’Oasi e hanno subito deciso di iscriverla. “All’inizio non voleva andarci – dice Annamaria – ha impiegato almeno sei mesi ad ambientarsi e sicuramente era anche un po’ arrabbiata perché non volevamo tenerla in casa. Prendere questa decisione è stata dura anche per noi, perché la mentalità italiana è sempre quella di tenere la mamma in casa, fare l’impossibile per questo, ma oggi come oggi, con il lavoro, i bambini, la famiglia, oggi è tutto diverso”. “E comunque ora “ interviene Carmen, “ con l’Oasi siamo contentissimi. La mamma si è ripresa benissimo e se oggi le chiedo se vuole venire a casa mia, non viene! Dice: no, no, grazie, qui a mezzogiorno e alle sei, la sera, si mangia puntuali, qui la mattina mi aiutano e ho la mia libertà”. “Il fatto è che in Oasi ci sono poche persone, con tanto personale – mi spiega Carmen – e l’anziano si sente bene accudito. Poi c’è la musica italiana, le tradizioni dei santi… mia madre si sente in Italia”. Storia e problemi simili nelle parole di Franca, la cui madre è arrivata in Svizzera nel 1960 da un piccolo paese vicino a Potenza, si è sposata qui con un bergamasco e ha lavorato trent’anni alla SBB come donna delle pulizie. Il marito è morto nel 1995. Più tardi ha trovato un compagno, con cui ha convissuto 12 anni, fino a quando lui è risultato affetto da demenza. Inizialmente il contatto con l’Oasi – trovata tramite Internet – era stato preso pensando a lui. Le cose sono peggiorate quando lei ha avuto un ictus e quando anche il ricorso alla Spitex non era più sufficiente per coprire tutto il bisogno di cura che cominciava ad avere. “All’inizio mia madre non è venuta in Oasi volentieri – dice Franca, nata a Zurigo, sposata, con una figlia adolescente e un lavoro part-time -, aveva quell’idea sbagliata che si ha in Italia degli istituti per gli anziani, ma in Oasi sono solo nove persone, è tutto molto più personalizzato rispetto ad altre grandi strutture e poi si parla italiano, fondamentale per mia madre che non parla bene il tedesco”. “Tutta quella generazione di emigranti ha problemi con il tedesco”, interviene Rinalda, che in Oasi è riuscita a sistemare sua zia, anche lei arrivata in Svizzera negli anni sessanta dalla provincia di Brescia, per anni impiegata nella Niedermann Metzegerei, ma rimasta nubile, senza figli, quindi sola e non intenzionata a tornare in Italia, dove comunque avrebbe avuto, come appoggio, solo una sorella ottantenne. Anche Rinalda, unico suo punto di riferimento dopo la morte di un compagno con cui la zia conviveva, è ricorsa inizialmente ai servizi della Spitex, ma non era abbastanza. Anche sua zia è stata prima inserita in una grande struttura, insieme ad altre 70, 80 persone, “ma lì sei come un numero” – dice Rinalda – “mentre il punto di forza dell’Oasi è che è come una famiglia, non si è mai trattati anonimamente. Se in più hai il problema della lingua! Quando mia zia è arrivata qui, non c’erano, come oggi, quei corsi e quelle strutture che aiutano nel processo di integrazione. Mio padre, muratore, frequentava dei corsi serali di tedesco, ma erano tutti uomini, le donne non usufruivano di questa possibilità. Arrivati ad una certa età, quando ci sono sempre problemi nuovi di salute, devi poterti spiegare bene. E’ importante essere in un luogo dove il personale capisce cosa dici. E poi in Oasi capiscono anche meglio la mentalità e il carattere latino!” “ Più in generale – precisa Rinalda – conta il fatto che sono attenti alle tradizioni italiane e che gli ospiti possono partecipare nel dare vita a queste tradizioni, come per esempio fare insieme il presepe. Un’altra cosa che io personalmente apprezzo molto è che facciano merenda al pomeriggio. Anche nelle altre case di cura o di riposo puoi andare nella caffetteria a bere qualcosa, ma in Oasi la merenda è proprio un rito, si ritrovano a tavola verso le 15, con la frutta, i biscotti, il caffè e per loro sono piccole cose importanti che danno un ritmo alla giornata. E poi per lei è importante che possa mangiare le cose che mangiava una volta, la pasta, la minestra la sera…”.
[…] La storia continua