Incontro a Pechino tra i presidenti Herman Van Rompuy (Consiglio europeo) e José Manuel Barroso (Commissione) e il premier cinese Wen Jiabao
La settimana scorsa c’è stato il quattordicesimo vertice tra l’Europa e la Cina a Pechino. L’Europa era rappresentata dal presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, e da José Manuel Barroso, presidente della Commissione. Il premier Wen Jiabao era il padrone di casa. L’Europa cerca di parlare in quanto entità politica e già questo è un segno positivo. D’altra parte, per questo sono state istituite le cariche di presidente del Consiglio e di ministro degli Esteri. Di cosa hanno discusso le due parti? Quattro erano i capitoli dei colloqui, con due appendici riguardanti il Tibet e l’Iran. Cominciamo dal primo punto, che era il fondo ”salva-Stati”. Da parte europea si è cercato di coinvolgere la Cina a farne parte, per avere un partner importante che partecipi alla soluzione della crisi. La Cina, però, che detiene 3200 miliardi di dollari del debito pubblico americano, ha risposto in maniera evasiva, non c’è stato nessun impegno, né sulla disponibilità a farne parte, né sul quantum la Cina avrebbe dato. In poche parole, la Cina non è interessata al discorso. Le affermazioni di principio sulla necessità di uscire dalla crisi si sono sprecate, da ambedue le parti, ma passi concreti nessuno. Le esportazioni cinesi in Europa sono notevoli, gli scambi bilaterali hanno superato nel 2011 i 560 miliardi di dollari. Il presidente Van Rompuy ha cercato di far avanzare il dialogo dichiarandosi disponibile a riconoscere ufficialmente la Cina come economia di mercato, alludendo ai progressi fatti dalla Cina negli ultimi anni nella direzione di una maggiore libertà rispetto al passato. Certamente questo riconoscimento ha fatto piacere al premier cinese, ma sul fondo salva Stati il premier è stato irremovibile: tante allusioni, nessun passo concreto. Né gli ha fatto cambiare idea l’ammissione dei rappresentanti Ue che hanno fatto notare che l’Europa nel passato più o meno recente hanno dato alla Cina larghe aperture di credito e soprattutto dei mercati europei, malgrado i prodotti cinesi siano di qualità non eccellente.
Se sui temi precedenti la Cina non si è spostata di un centimetro, non lo ha fatto nemmeno quando si sono affrontati i temi dei diritti umani. In fondo i cinesi come sono abituati a sentirsi porre questo argomento, così sono abili nel minimizzarlo, dicendo che ”serve rispetto” e dunque che la cosa deve avere il suo tempo. In realtà, i cinesi sui diritti umani sono disposti a dialogare, sebbene rimangano sempre delle loro opinioni. Ciò su cui non transigono è la questione Tibet e l’autonomia del territorio tibetano. Se si vuol fare irritare i cinesi, bisogna solo insistere sull’autonomia del Tibet, che per loro ”è parte inalienabile della Cina”, quindi niente autonomia o, peggio, indipendenza. Non si discute nemmeno. Barroso ha chiesto ai cinesi di fare nel campo dei diritti civili gli stessi progressi fatti in campo economico, ma la risposta l’abbiamo già riferita. Viceversa, c’è stato dialogo sui temi di politica internazionale. La Cina, come si sa, ha posto il veto, insieme alla Russia sulla risoluzione Onu contro Damasco, e mantiene questa posizione. Tuttavia, il premier cinese ha spiegato che non si tratta di favorire un regime, ma di evitare il caos e la guerra, e che della Siria si devono occupare i siriani (”Decida il popolo”). Quanto all’Iran, la Cina ha accolto l’invito dell’Ue a sollecitarlo ad un nuovo negoziato, ma le possibilità di successo di una ridiscussione su temi cruciali rimangono pari a zero. Risultati: tante parole, tante dichiarazioni di principio, ma di risultati concreti non c’è traccia.