I partiti che sostengono Monti si sono ritagliati uno ”spazio parlamentare” e lavorano per la riforma elettorale e per quella istituzionale
Con la svolta del governo ”tecnico”, per non apparire come i sostenitori passivi di Monti, dopo la manovra e dopo i decreti sulle liberalizzazioni e sulle semplificazioni, i partiti si sono, tacitamente e per forza maggiore, ritagliati uno ”spazio parlamentare”. Si è stabilito un accordo non scritto ma condiviso, e cioè che il governo si occupa dei compiti tipici di un Esecutivo (politica economica, giustizia, lavoro, previdenza, esteri, eccetera) e i partiti – almeno quelli che fanno parte della maggioranza – si occupano di ciò che il governo, specie un governo tecnico, non è tenuto a fare, cioè la riforma elettorale e la riforma costituzionale. E‘ un modo anche per dire che ci sono. Sulla riforma della legge elettorale per ora non c’è l’accordo, anzi, un accordo c’è e riguarda il potere degli elettori di scegliere i loro rappresentanti, ma è troppo poco per fare una riforma. Le posizioni sono distanti. Il Pd vorrebbe abolire l’attuale legge e ritornare al maggioritario ad un turno e meglio sarebbe a due turni; il Pdl, invece, vorrebbe conservare l’attuale legge con un’unica modifica: la concessione all’elettore di scegliere il proprio rappresentante. L’accordo sulla riforma della legge elettorale, dicevamo, è di là da venire, ma non è un problema in quanto è un tema che può essere risolto con una legge ordinaria. L’accordo, invece, sembra esserci sulla riforma costituzionale, almeno per quanto riguarda alcuni punti. Siccome i tempi della riforma istituzionale sono più lunghi e necessitano di una doppia lettura alla Camera e al Senato a distanza di tre mesi l’una dall’altra, è questo il tema sul quale si è concordato di accelerare i tempi.
Ecco i punti sui quali si sta lavorando e sui quali è possibile un terreno comune. Il primo punto riguarda la diminuzione dei parlamentari. Oggi la Costituzione prevede 630 deputati e 315 senatori (più la facoltà del presidente della Repubblica di nominare 5 senatori a vita). L’intesa politica raggiunta tra Pdl, Pd e terzo polo è che dalle elezioni prossime del 2013 i deputati scendano a 500 e i senatori a 250. Complessivamente si tratterebbe di 195 parlamentari in meno. Questo sarebbe il punto di mediazione rispetto alla proposta più drastica della Lega che vorrebbe ridurre i deputati e i senatori a 250 per ciascun ramo del Parlamento. Il secondo punto riguarda la cosiddetta ”sfiducia costruttiva”, che consiste nella possibilità da parte del Parlamento di votare la sfiducia al governo in carica solo se nello stesso Parlamento si trova un’altra maggioranza alternativa. Oggi, invece, nella Costituzione la sfiducia costruttiva non esiste, il Parlamento può votare la sfiducia ad un governo ma se non si forma una maggioranza alternativa non succede nulla, resta in carica il governo che non è stato sfiduciato. Il terzo punto riguarda il superamento del bicameralismo perfetto. Oggi, infatti, una stessa legge deve essere discussa in tutti e due i rami del Parlamento, ma essa può essere approvata definitivamente solo se viene approvata con un testo identico sia dalla Camera che dal Senato. In fondo Camera e Senato sono un doppione. L’ipotesi di riforma – si tratta, su questo punto, solo di un’ipotesi, non di un accordo già siglato – è che un paio di volte all’anno si riuniscano in seduta congiunta le conferenze dei capigruppo di entrambe le Camere e si decida quali sono i progetti che saranno esaminati dall’una o dall’altra Camera. Per ora non si parla di Senato federale, come sarebbe giusto a garanzia dei temi che riguardano le regioni e le materie amministrative. Il quarto ed ultimo punto su cui Pdl, Pd e terzo polo hanno raggiunto un’intesa di massima riguarda i poteri del premier, che potrebbe avere il potere di nomina e di revoca dei ministri e quello di chiedere e di ottenere lo scioglimento delle Camere, come avviene in altri Paesi a democrazia avanzata. Questi poteri rafforzano il ruolo e la figura del premier. Oggi, come si sa, i ministri li nomina il presidente della Repubblica su proposta del premier che non può né chiedere né ottenere lo scioglimento delle Camere che è una prerogativa del solo capo dello Stato, esperiti tutti i tentativi di trovare una maggioranza in Parlamento. Se, come pare, l’intesa su questi punti si tradurrà in proposta di riforma costituzionale, da una parte è un passo in avanti nella direzione di una riforma condivisa, dall’altra, però, avrebbe il sapore di una beffa. Sì, perché questi punti erano contenuti quasi tutti nella riforma istituzionale approvata nel 2005 dal governo Berlusconi, contro la quale fu promosso un referendum che la abrogò. Cioè, gli stessi che promossero il referendum contro quella legge (il Pd) ora la ripresenterebbero quasi tale e quale. La riforma di Berlusconi (allora anche Casini e Fini erano nella maggioranza) conteneva, infatti, la diminuzione.di 175 parlamentari, il Senato federale (superamento del bicameralismo perfetto), il potere di nomina e di revoca dei ministri da parte del premier, che poteva anche sciogliere il Parlamento, cosa che fece inorridire l’allora presidente Oscar Luigi Scalfaro e che oggi non fa inorridire più nessuno, anzi, è considerata una prerogativa necessaria.
Così vanno le cose in politica.