È iniziata la fase congressuale nel Pd con la presentazione delle candidature di cui l’ultima giunge da Ignazio Marino, fautore del testamento bioetico
Quando l’edizione di questo giornale arriverà nelle case, il Vertice del G8 sarà appena iniziato e, ovviamente, ne parleremo in dettaglio la settimana prossima. In altra parte del giornale abbiamo riferito sul ddl sulla sicurezza, che è diventato legge dello Stato.
Un altro argomento legislativo della maggioranza sarà quello sulle intercettazioni, già approvato da uno dei rami del Parlamento ed ora in dirittura d’arrivo al secondo. Su questo punto vi è da registrare una cauta apertura da parte del ministro della Giustizia. Se ciò dovesse verificarsi, probabilmente ci sarà bisogno di un ulteriore passaggio elettorale.
Dedichiamo, dunque, l’intero spazio della politica di questa settimana al dibattito interno al Pd e alle candidature per la guida di questo partito che nel mese di ottobre terrà il suo congresso e alcuni giorni dopo eleggerà il segretario attraverso le primarie e l’Assemblea nazionale, che verrà eletta con metodo proporzionale in circa 130 collegi, ognuno dei quali a sua volta eleggerà dai 4 ai 9 membri. Per partecipare alle primarie per l’elezione del segretario del Pd bisogna raggiungere il 5% dei voti in sede congressuale.
Ciò detto, veniamo al dibattito politico e alle candidature, che sono tre e ad ognuna delle quali corrisponde una determinata linea politica con un programma coerente. Alle due candidature note, quella dell’attuale segretario Dario Franceschini e dell’ex ministro Pierluigi Bersani, se n’è aggiunta una terza, quella del chirurgo Ignazio Marino.
A dire la verità, la settimana precedente circolava la voce se il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, sarebbe sceso in campo oppure no. È stato l’interessato a sciogliere il nodo dichiarando ufficialmente che preferiva continuare nel mandato di sindaco che i cittadini di Torino gli avevano affidato.
Dunque, tre personaggi diversi, tre esperienze diverse, tre idee diverse di partito.
Cominciamo da Dario Franceschini, cattolico, ex dc poi Margherita, collaboratore di Walter Veltroni quando questi era stato eletto segretario. Franceschini è appoggiato da Piero Fassino e da Walter Veltroni – i due big ex ds con incarichi di prestigio alle spalle – e da una serie di altri personaggi autorevoli, come Fioroni, l’ex presidente del Senato, Marini, Castagnetti, la teodem Paola Binetti, a cui si sono aggiunti all’ultima ora, seppure non con grande entusiasmo, il gruppo di Rutelli e Lanzillotta.
Ebbene, con Franceschini alla guida, sponsorizzato soprattutto da Veltroni, l’esperienza dell’Unione sarebbe irripetibile, al contrario, si metterebbe l’accento sul bipartitismo, con la sepoltura definitiva del sistema proporzionale senza premio di maggioranza, quello che faceva decidere il governo da accordi parlamentari, come succedeva durante la prima Repubblica.
Con Franceschini il sistema maggioritario sarebbe salvo, ciò non vuol dire che il Pd sarebbe a vocazione maggioritaria, come precisò Veltroni mettendo in subbuglio gli alleati. Altra caratteristica è che il Pd occuperebbe più spazio al centro, in particolare guardando all’Udc di Casini e ai temi cari ai cattolici (no alla ricerca sulle cellule embrionali, sì alla cultura della vita, sì al testamento biologico ma anche obbligo di alimentazione e idratazione come sostegno vitale).
Il secondo candidato (ma qui le classifiche sono solo di comodo) è Pierluigi Bersani, sostenuto da Rosy Bindi e da D’Alema e da una folta schiera di ex ds. Egli vorrebbe che il Pd fosse più socialdemocratico sui diritti civili, con aperture moderate sull’economia.
È un po’ la continuità con i ds e la tradizione operaia: in questo senso potrebbe esercitare una capacità di attrazione di quanti, a sinistra, sono delusi. Anche la sua idea di partito contrasta con quella di Franceschini: lo vorrebbe più strutturato, consapevole della tradizione, ma anche plurale, nel senso di diversità di idee ma senza correnti cristallizzate.
Insomma centrato sul modello delle socialdemocrazie europee che al loro interno hanno diversità di opinioni ma anche rispetto tra di loro. Per Bersani il Pd non dovrebbe mai andare da solo alle elezioni, ma essere il fulcro di un’alleanza tra più partiti.
Infine, il “terzo uomo”, il chirurgo Ignazio Marino, colui che mette l’accento su un aspetto solo, quello della laicità del partito. Ignazio Marino, non per nulla sostenuto da Beppino Englaro, padre di Eluana, che prenderà la tessera del Pd, e dall’ex braccio destro di Veltroni, Goffredo Bettini, ha poche chance di insidiare i primi due candidati, certamente riuscirà a superare il 5% necessario per la sua candidatura (ammesso che la manterrà dopo il Congresso), ma altrettanto certamente sarà la spalla di Bersani, con cui condivide proprio la tradizione laica e diessina.
La sfida, dunque, di fatto è tra Franceschini e Bersani, ma c’è un’altra sfida che attende questo partito ed è la capacità del futuro segretario di farne un amalgama. Non è facile, date le premesse, anche perché su alcuni temi, quelli bioetici in particolare, obiettivamente ci sono divergenze difficilmente sanabili, a meno che i teodem e la parte cattolica non accettino per intero la laicità del partito.