Accusato di aver rubato un ovetto Kinder, è stato assolto perché “il fatto non sussiste”
Sull’edizione del 26 ottobre abbiamo raccontato la storia di un ragazzo, Donato, diciottenne di Montederena, sulla litoranea salentina, a pochi km da Taranto. Il ragazzo, il 4 agosto del 2009, era stato accusato da un rivenditore ambulante di aveva preso un ovetto Kinder del valore di poco più di un euro e di aver provato a rubarlo. Per farla breve, arrivarono i carabinieri, chiamati dal commerciante che sporse denuncia. Cinque mesi fa scrivemmo che impiantare un processo per un euro e poco più era una assurdità, sia da parte del commerciante che da parte degli avvocati e del tribunale stesso. Se avesse avuto ragione il commerciante, in fondo sarebbe stata una vittoria di Pirro, perché comunque il ragazzo prima e il padre dopo gli avevano chiesto scusa e si erano offerti di pagare le spese processuali. Se avesse avuto ragione il ragazzo, il commerciante comunque avrebbe fatto una figura meschina, a quel punto non solo per la scarsa entità dell’eventuale danno ma anche perché, di fatto, aveva denunciato il falso, esponendosi anche al rischio di una contro denuncia per calunnia. Ebbene, il processo, iniziato cinque mesi fa, si è concluso nei giorni scorsi, dopo tre anni di carte, testimonianze, interrogatori, spese di avvocati, ansie, eccetera. Risultato? Il giudice ha assolto il ragazzo perché “il fatto non sussiste”. A convincere il giudice sono state proprio le parole del commerciante quando aveva riferito ai carabinieri che aveva visto il ragazzo mettere l’ovetto in tasca. Ebbene, nemmeno gli agenti avevano creduto alle parole del commerciante perché avevano notato che il ragazzo indossava dei jeans derenti, a vita bassa. Gli agenti notarono anche che l’ovetto era ancora integro, mentre se fosse stato messo in tasca si sarebbe dovuto deformare. In ogni caso, di fronte all’insistenza del commerciante non poterono che fare il loro dovere.
Il giudice, dunque, ha emesso la sentenza proprio in base al verbale scritto dagli agenti e alle loro impressioni. Il commerciante, evidentemente, pur senza esserne consapevole, aveva visto un furto là dove non ce n’erano. Avrebbe potuto chiudere la faccenda con le scuse presentate da Donato e dal padre e non l’ha fatto ed ora è costretto non solo a pagare le spese processuali ma anche a fare i conti con una sentenza che riconosce l’innocenza del presunto ladro e l’implicita accusa di calunnia aggravata e continuata a lui stesso. Il ragazzo, probabilmente, si accontenterà della vittoria ottenuta e non chiederà anche i danni morali. Così facendo, si dimostrerà più civile del commerciante che, presentando denuncia per un inesistente furto di poco più di un euro, evidentemente non sa che ci sono i principi ma anche un libro di Cesare Beccaria intitolato “Dei delitti e delle pene”, cioè della corrispondenza tra la punizione e l’entità del danno, anche se in questo caso non c’è stato nemmeno il danno.