Partiti in subbuglio: Casini vuole fare il partito della nazione, Bossi, forse, rifonderà la lega in contrasto con quella di Maroni
Scontro tra il ministro del Welfare, Elsa Fornero, e la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori modificato rispetto alla prima bozza approvata dal Consiglio dei ministri e criticata a suo tempo da Cgil e Pd. Una riunione dei tre segretari (Alfano (Pdl), Bersani (Pd) e Csini (Udc), definiti dalle iniziali dei loro nomi “la maggioranza ABC”) aveva apportato delle correzioni, in particolare sul reintegro qualora il giudice ritenesse non validi i motivi dei licenziamenti economici e sulla flessibilità in entrata, ma quella stessa intesa, definita da Mario Monti un punto di equilibrio, è stata giudicata “negativa” dalla presidente di Confindustria in quanto porrebbe enormi rigidità nelle assunzioni e nel fine rapporto di lavoro qualora si presentasse il caso del licenziamento. Ripensamenti ci sono stati – e chiaramente espressi in maniera ufficiale – dal Pdl, che è intenzionato a presentare emendamenti in sede di discussione parlamentare. Il ministro Fornero ha risposto alle critiche di Emma Marcegaglia dicendo che se la riforma non sarà approvata, il governo andrà a casa, facendo balenare lo scioglimento del Parlamento e le elezioni anticipate. La realtà è che il governo ha sbagliato, nel metodo e nei contenuti. Nel metodo, perché non ha presentato la riforma con un decreto legge, più veloce e più facile da gestire; nei contenuti, perché, per non creare problemi al Pd, la riforma non migliora affatto la situazione precedente. “Meglio non fare la riforma che farla a metà”, avevano sentenziato due economisti della Bocconi, Alberto Alesina e Andrea Ichino, sul Corriere della Sera, il primo dei quali, già tempo fa, aveva avvertito del pericolo di presentare la riforma con il disegno di legge e non con il decreto legge. Adesso è chiaro che se Monti non porrà la fiducia sul testo originario nel migliore dei casi rischia di fare una riforma inutile perché ricalca, almeno sull’articolo 18, il testo in vigore da quarant’anni.
Del cambiamento di clima politico ne stanno risentendo i calcoli, le tensioni e il riposizionamento dei partiti. Gianfranco Fini, presidente della Camera, allorquando il Pdl gli chiese di dimettersi sia per la “parzialità” della sua persona, sia perché era venuto fuori che la casa di Montecarlo, di proprietà di An dietro donazione di una persona scomparsa, era stata svenduta a suo cognato (pare non proprio a sua isaputa), rispose che non aveva nessuna intenzione di dimettersi e che lo avrebbe fatto solo un minuto dopo le dimissioni di Berlusconi. Ebbene, le dimissioni di Berlusconi ci sono state a metà novembre del 2011 ma Fini non si è dimesso. Non si è dimesso nemmeno quando lo chiedevano coloro che hanno visto nell’atto della presidenza della Camera di mantenere i benefit agli ex presidenti della Camera, appunto, per dieci anni (quindi lui, dimettendosi nel 2013 a fine legislatura, ne godrebbe fino al 2023). Ora, però a chiedere le sue dimissioni sono gli stessi deputati e senatori di Fli, non perché non lo riconoscano più come capo, ma perché Pierferdinando Casini vuole chiudere l’Udc e fare un nuovo soggetto politico, chiamato Il Partito della Nazione. Tra parentesi, in Italia c’è il vezzo di cambiare nome al partito facendo gestire il nuovo soggetto dalle stesse persone mentre bisognerebbe cambiare personaggi e tipo di politica, ma chiudiamo la parentesi. I dirigenti di Fli vedono in quest’attivismo di Pierferdinando Casini un tentativo di lasciare appiedato il loro leader, quindi hanno chiesto a Fini di dimettersi da presidente della Camera perché si occupasse di questo nuovo partito per condividerne la gestione e l’immagine con Casini. Non sappiamo se
Fini vorrà dimettersi – se lo farà, vuol dire che come prima la terza carica dello Stato veniva gestita in modo parziale, così ora viene considerata inutile rispetto alle ambizioni e agli interessi partitici – però è chiaro che nel futuro Partito della Nazione di Casini Fini sarà destinato a giocare un ruolo di riserva, a meno che Fli non si sciolga e, attraverso un accordo con l’Udc, non confluisca nel partito della Nazione con una quota parte, esattamente come fece An con Forza Italia nel Pdl, con un rapporto di forza di 70 a 30, rapporto che Casini potrebbe non concedere visto che finora Fli alle elezioni ha rimediato solo decimali. Spostiamoci nel Carroccio per notare gli sviluppi più recenti dello sconvolgimento avvenuto nella Lega. Con le dimissioni di Bossi, Maroni marcia a vele spiegate verso la nuova Lega facendo pulizia dei personaggi legati alla gestione precedente e alla cerchia di Bossi stesso. Ma c’è chi dice che non sarà una corsa in discesa. Siccome Maroni si è disfatto in fretta e furia di tutti i bossiani più legati all’ex leader, questi pare stia meditando o di ricandidarsi al congresso del 30 giugno (con ottime chance, pare, di essere rieletto) oppure di costituire un nuovo partito (anche lui!), con il nome di Rifondazione della Lega, con lo stesso marchio del Carroccio di cui è proprietario dal punto di vista giuridico e in contrasto con Maroni. Diciamo anche a Bossi quello che abbiamo detto sul conto di Casini e di tutti i partiti italiani, rifondati o non rifondati: ci vogliono non nuovi partiti e vecchi personaggi, ma nuove idee, nuovi comportamenti e nuovi personaggi.