Il Segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, in visita a Roma, ha detto che le azioni dei talebani sono più “spettacolari che efficaci”
In un incontro a Roma tra il Segretario generale dell’alleanza atlantica (Nato), Anders Fogh Rasmussen, e il presidente del Consiglio, Mario Monti, avvenuto nel quadro delle consultazioni con tutti i Paesi membri in vista del vertice annuale in programma a fine maggio a Chicago, l’Italia ha ribadito quanto già era stato oggetto di accordo il 26 gennaio tra Hamid Karzai e il capo del governo italiano, e cioè che dopo la partenza delle truppe Nato, previste entro la fine del 2014, l’Italia resterà in Afghanistan con uomini e risorse. Gli uomini, ovviamente, non saranno adibiti al combattimento o alla difesa, ma all’addestramento delle forze dell’ordine e dell’esercito locali; le risorse saranno utilizzate per la ricostruzione del Paese. L’Italia, dunque, non seguirà il rientro anticipato di un anno deciso dall’Australia, con una parte già in patria e con l’altra parte entro la fine del 2013, ma terrà fede agli impegni sottoscritti, a meno che non ci sia un (improbabile) rientro generale, peraltro non previsto. In caso di vittoria di François Hollande in Francia il 6 maggio, il candidato socialista ha già annunciato il rientro anticipato, ma poi non dovrebbe esserci nessun altro a prendere decisioni unilaterali. La venuta in Italia di Rasmussen è stata l’occasione per fare il punto con la stampa circa la reale situazione in Afghanistan che, a detta del Segretario dell’alleanza, non è come viene descritta sui media internazionali. Nelle settimane scorse, infatti, la stampa internazionale ha parlato degli attacchi dei talebani al cuore della capitale mettendo in luce la debolezza delle forze Nato che non si sarebbero accorte di nulla, come di nulla si sarebbero accorte le forze militari locali. Ebbene, dice, Rasmussen, tutto questo non è vero. Si è trattato di attacchi “spettacolari”, ma non di attacchi efficaci. Insomma, più teatro che sostanza, più fumo che arrosto. Ecco la risposta di Rasmussen: “Il fatto è che in generale abbiamo verificato una diminuzione delle azioni nemiche: c’è stato un calo del 20% negli ultimi 12 mesi rispetto all’anno precedente, quando era stato più basso del 2010. La tendenza è chiara. I talebani sono indeboliti. Allo stesso tempo registriamo una crescita e maggiori capacità delle forze di sicurezza afgane: in autunno raggiungeranno le 350 mila unità, ma più importante è che sia migliorata la loro qualità”.
In sostanza, Rasmussen ha negato che le forze dei talebani siano tali da riconquistare il Paese appena gli alleati scompariranno dietro l’angolo e nega che lo possano fare quando vogliono. Se gli alleati lasceranno entro la fine del 2014 e una parte ha già lasciato o lascerà entro il 2012 è perché, dice, ciò era già nei patti. Nessun fuggi-fuggi, dunque, ma solo pianificazione delle scadenze. Ad esempio, precisa, già a metà del 2013 agli afgani verrà ceduta la guida delle operazioni, anche se le forze Nato da combattimento saranno ancora sul campo. La realtà, dice Rasmussen, è che la transizione ha bisogno di tempo, dai 16 ai 18 mesi: “Noi abbiamo già cominciato a passare la guida delle operazioni agli afgani in due gruppi di province. Ne restano tre. Continuiamo ad aiutarli, ma presto cederemo il terzo gruppo. E così via. Ecco perché se vogliamo ritirare le truppe da combattimento entro il 2014, dobbiamo completare il passaggio delle responsabilità già durante l’estate del 2013”. Dopo aver sottolineato l’importanza delle operazioni congiunte tra Usa e Europa, con la guida a quest’ultima delle azioni militari ma con la potenza e l’efficienza degli armamenti e dei mezzi americani nella guerra in Libia, Rasmussen ha parlato della situazione in Siria, dove lui non vede una partecipazione della Nato, soprattutto perché Russia e Cina hanno posto il veto. Ecco le sue parole: “Seguiamo da vicino la situazione. E condanniamo con forza la repressione che colpisce la popolazione civile. Ma la Nato non interverrà. La strada maestra è trovare una soluzione pacifica sulla base del piano Annan. Dispiace che il Consiglio di Sicurezza non abbia votato una risoluzione vincolante. Ma apprezzo che abbia appoggiato all’unanimità il piano dell’ex Segretario generale. Purtroppo sembra che il regime non lo rispetti. Ma non c’è alternativa a soddisfare le legittime aspirazioni del popolo siriano e introdurre la democrazia nel Paese”.