Il ministro del Welfare, Elsa Fornero, difende la riforma del lavoro davanti a mille lavoratori Fiom e davanti alla platea di un convegno dell’Udc a Torino
Sui giornali è comparsa una nuova espressione inglese, “Spending review”, che vuol dire, in italiano semplice e chiaro, “revisione delle spese”, cioè il governo non può continuare a tartassare gli italiani di tasse, ma deve spendere di meno per recuperare risorse. Si sa che le misure fiscali introdotte hanno una forte carica recessiva: i consumi ridotti portano a meno lavoro, a meno occupazione, a meno entrate nelle tasche dei lavoratori, a meno consumi e quindi alla paralisi dell’economia. Questo per semplificare. Per ridare impulso all’economia, bisognerebbe disporre di più soldi, ad esempio pagando meno tasse, ma è il serpente che si morde la coda: non si possono abbassare le tasse perché altrimenti lo Stato avrà meno entrate. Ecco dunque che si è cominciato a parlare di tagli alla spesa dello Stato. Già, perché il guaio in Italia è che lo Stato spende un sacco di soldi non per creare lavoro, non per rendere i servizi efficienti, ma per pagare le clientele dei politici (sotto forma di assunzioni nelle pubbliche amministrazioni che servono solo a sistemare parenti e amici e clienti, appunto), per dare rimborsi elettorali a partiti che poi non li rendicontano, per distribuire fondi per le cose più assurde, ma miranti allo stesso fine, il clientelismo, ad esempio tutta la distribuzione a fine anno di centinaia di migliaia di euro alla ricerca x, al corso y, allo studio z, e via dicendo. Da anni si parla di abolire le province, poi, al dunque, al posto di abolirne qualcuna, se ne creano di nuove. Una volta erano 91, poi sono diventate 95, ora arrivano attorno a 110, con costruzioni di palazzi per la politica che spesso sono dei pozzi senza fondo, con relative assunzioni e via dicendo. Non se ne può più. Ora pare che il ministro Cancellieri (Interni) abbia deciso di andare a rovistare nei meandri delle voci di spesa che compongono il bilancio del ministero, per sfoltire, ridurre, eliminare parassitismi e inutilità. In questa direzione c’è molto lavoro da fare, nelle amministrazioni centrali come, soprattutto, negli enti locali (Regioni, Province e Comuni), dove in genere si chiede agli altri di fare ciò che si rifiuta di fare per sé. Vedremo se questa volta si riuscirà a cavare un qualche ragnetto dal buco.
Il ministro Elsa Fornero (Welfare), dopo essere stata a difendere la riforma del lavoro all’assemblea dell’Alenia, invitata dalla Fiom, ha illustrato la necessità della sua approvazione ad un convegno dell’Udc a Torino. Qui, tra gli applausi di una platea non nemica, ha insistito su alcuni concetti. Il primo dei quali è la necessità di una rapida approvazione del testo di riforma dell’articolo 18, “senza ulteriori modifiche”. Ha detto: “Abbiamo cercato di fare un ragionamento sull’area di gestione economica dell’impresa, che può avere un motivo economico vero per licenziare una persona e indennizzarla senza potere di reintegro del giudice”. E ancora: “L’articolo 18 è una cittadella riservata a pochi lavoratori e da cui sono stati esclusi sistematicamente i giovani e spesso le donne”. Infine: “Abbiamo tolta qualche garanzia ma l’articolo 18 non è scomparso”. Nei giorni scorsi è venuto fuori il caso di una funzionaria di un’amministrazione locale in Calabria, la quale aveva denunciato il capoufficio per un giro di tangenti e di abusi in cui sono coinvolte più persone. Ebbene, in attesa del processo che ci sarà fra chissà quanti anni, e dopo che una delle persone arrestate ha chiesto il patteggiamento (ammettendo la colpa), scaduti i termini per la custodia cautelare, il capoufficio in questione è stato reintegrato nel suo lavoro e nelle funzioni dal giudice del lavoro, con quanta esposizione alla vendetta contro chi l’aveva denunciato è facile immaginare. La riforma del lavoro non riguarda solo il licenziamento per motivi economici o per chiusura dell’azienda o per discriminazione, riguarda anche la flessibilità del contratto, spesso causa di non assunzione anche di fronte alla necessità di impiegare nuova manodopera. Il concetto è che o si tratterà di una vera riforma o, come hanno scritto alcuni economisti, meglio non farla proprio se non serve a cambiare realmente lo stato delle cose. Chiudiamo questi flash di politica, citando l’intervista di Berlusconi al settimanale Gente, dove l’ex premier, al giornalista che allude alle sue mire al Quirinale l’anno prossimo, ha detto che al Colle non ci pensa nemmeno, che non gl’interessa (e non è la prima volta che lo dice). Ecco le sue parole: “ Non è vero che penso al Quirinale come al mio futuro. Quello che spero è che, profittando della pausa della contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra, si possa arrivare a un cambiamento dell’assetto istituzionale che renda finalmente governabile questo Paese. Il mio impegno in politica potrebbe concludersi con questo successo”. L’altro spunto è l’offerta di alleanza di Alfano a Casini, con il rifiuto di quest’ultimo e con la presa d’atto di Alfano che ha dichiarato che non ha perso le speranze né di riunire i moderati, né di tornare ad un’alleanza su basi nuove con la Lega.