L’Egitto a meno di tre settimane dal voto presidenziale con probabile vittoria degli islamisti
Ad oltre un anno dalla cosiddetta “Primavera araba”, in Egitto gli scontri di piazza non sono cessati; da allora si può dire che non hanno conosciuto soste. Ma a poco meno di tre settimane dal voto presidenziale, le violenze si sono fatte più aspre, con venti o trenta (a seconda delle fonti) morti nella sola giornata di mercoledì 3 maggio. In Egitto, grande Paese con 80 milioni di abitanti, situato in uno snodo geopolitico di primaria importanza, la caduta di Mubarack non ha portato né pace, né democrazia, e nemmeno ricchezza. L’economia è in caduta libera (in questo il popolo rimpiangerà sicuramente l’ex presidente deposto), il livello di democrazia non si è spostato di un millimetro rispetto a prima. In compenso, gli scontri tra i partiti e i clan sono sanguinosi e lo diventeranno sempre di più, perché chiunque vincerà, non riuscirà a placare la piazza e le fazioni. Se poi vinceranno i Fratelli Musulmani, come è probabile, visto che gl’islamisti hanno il 60% nel Parlamento, un regime di teocrazia sarà assicurato, con tutte le conseguenze che ciò comporta per gli equilibri dell’intera area del Medio Oriente. Per chiarezza di esposizione, vediamo prima gli esclusi dalle elezioni, poi i candidati e la loro provenienza politica, infine quali potranno essere le conseguenze.
Le elezioni presidenziali ci saranno – salvo improbabile rinvio – il 23 e 24 maggio. I candidati in lizza erano 23, ma die-ci sono stati esclusi. Tra di essi Hazem Abu Ismail, il candidato dei Salafiti, estremisti, accusato di essere figlio di una donna con nazionalità americana; l’ex vicepresidente e capo dei servizi segreti di Mubarack, Omar Suleiman, per non aver raccolto firme a sufficienza; Kheirat al Shater, uno dei due candidati dei Fratelli Musulmani, per essere stato in carcere sotto il regime di Mubarack. Dunque, i Fratelli Musulmani avevano presentato due candidati: uno, appunto, escluso, l’altro, invece, Mohamed Morsi, è quello che ha buone possibilità di essere eletto, se non al primo, al secondo turno. Tra i probabili eletti figurano Amr Moussa, ex ministro degli Esteri di Mubarack e Segretario della Lega Araba; l’islamico moderato Abdel-Moneim Abolfotoh, ex Fratelli Musulmani, sospeso perché si è candidato contro il volere del partito. Ciò detto, una prima considerazione riguarda il panorama delle formazioni in lizza, dominato dagli islamisti fondamentalisti e da quelli moderati, ma tra cui è difficile stabilire una vera e propria linea di demarcazione. I laici sono l’ex ministro degli Esteri di Mubarack, Amr Moussa, sicuramente appoggiato dai militari dopo che il loro candidato è stato escluso. La seconda considerazione è che il candidato dei Fratelli Musulmani e probabile presidente, Mohamed Morsi, è un fautore deciso della Sharia, la legge islamica (niente diritti alle donne, Corano e moschea). La terza considerazione è che si aprirà un periodo turbolento, date le forze in campo e dati i contrasti. Salafiti e Fratelli Musulmani non si possono vedere: riusciranno a stringere comunque un patto di potere? E’ difficile dirlo. Oppure i Salafiti, orfani del loro candidato escluso, voteranno per il candidato odiato dai Fratelli Musulmani, cioè colui che è stato sospeso dal partito, Abdel-Moneim Abolfotoh, da loro stessi odiato? E i miliatri, che ruolo avranno in queste elezioni e soprattutto dopo? Si sa già che il generale Tantawi, il capo del Consiglio militare provvisorio, ha dichiarato che se un candidato raggiungerà al primo turno il 50%, lui si dimetterà. Ma la domanda è: saranno disposti i militari a farsi da parte veramente, loro che nella storia dell’Egitto hanno sempre avuto un potere enorme, governando per interposta persona o stringendo accordi con il presidente di turno?
Sono tutte domande che per ora non possono trovare una risposta certa. Si sa, però, che i militari, escluso il loro candidato dalle elezioni, riverseranno i loro voti sul laico-moderato Amr Moussa, ma è possibile anche che si alleeranno con i Fratelli Musulmani se questi riusciranno a vincere la partita. I morti della settimana scorsa, tutti o quasi tra i Salafiti che manifestavano in piazza contro l’esclusione del loro candidato, sono stati attaccati di brutto, forse dagli agenti dei Fratelli Musulmani, il che la dice lunga sul clima che regna in Egitto dopo l’èra di Mubarack. Una cosa è certa: l’Egitto non è e non sarà mai più amico di Israele, almeno fino a quando regnerà questo clima di tensione, di odio, di vendetta, che, non ci vuole molto a capirlo, fra qualche tempo (e non solo) farà rimpiangere il vecchio regime, a meno che dalle urne non uscirà una vittoria proprio dell’esponente che segnerà la continuità con il passato. Il che non sarebbe davvero una sorpresa.