La vicenda di un imprenditore di Gela che paga all’Ufficio delle Entrate due centesimi di meno e gli viene mandata una cartella esattoriale di 81 euro
In questi ultimi tempi leader politici e rappresentanti delle istituzioni sono dovuti intervenire più volte per difendere i funzionari di Equitalia, l’ente che riscuote le multe per conto dell’Agenzia delle Entrate, oggetti di minacce e di atti di violenza, al punto che impiegati e dirigenti si sentono bersagli di una rabbia che proviene da cittadini che con Equitalia hanno avuto a che fare e che ne parlano come di vampiri che succhiano il sangue dei cittadini malcapitati, sordi ai loro problemi. I dirigenti e i funzionari si difendono dicendo che loro sono semplici esecutori di leggi che non hanno fatto loro e che dunque non hanno nessuna colpa delle vicende, anche tragiche, successe negli ultimi mesi e che riguardano vari imprenditori che si sono suicidati perché non riuscivano a pagare i loro dipendenti pur dovendo ricevere dallo Stato soldi per centinaia di migliaia di euro o addirittura per milioni. D’altra parte, non sono pochi i cittadini che lamentano, fino al suicidio, di essere perseguitati dalle cartelle esattoriali emesse da Equitalia con una tenacia da aguzzini, incuranti di problemi e di situazioni, specie quando le cartelle esattoriali si traducono in sequestri e pignoramenti che riducono una famiglia sul lastrico. Chi ha ragione? Probabilmente ragioni e torti possono essere divisi. E’ vero che la legge è la legge e che i funzionari di Equitalia non fanno altro che applicarla, ma è anche vero che la ragione esiste per essere usata.
Ecco la vicenda accaduta ad un imprenditore di Gela, in Sicilia, che ha avuto a che fare con Serit, il corrispondente siciliano di Equitalia. Tre anni fa, questo imprenditore arrotondò di due centesimi – due centesimi – il pagamento dell’Iva da versare alle casse dello Stato. E’ evidente che non lo fece per tirchieria, ma solo per comodità di pagamento o per un arrotondamento puro e semplice. Ebbene, nei giorni scorsi gli è arrivata una cartella esattoriale che gl’impone di pagare 81 euro per aver pagato, tre anni fa, la somma dovuta in modo impreciso, appunto di due centesimi.
All’inizio, il nostro imprenditore ha pensato ad uno scherzo, poi a un caso di “cartella pazza”, infine, per sicurezza, si è presentato allo sportello di Serit e ha chiesto spiegazione, che è stata la seguente: se non avesse pagato in tempo, avrebbe ricevuto il fermo amministrativo dell’auto, perché due centesimi o duecento euro o duemilioni dovevano essere precisamente pagati, è il caso di dire fino all’ultimo centesimo. Inutile aggiungere che il malcapitato non ci ha pensato nemmeno due secondi ed ha pagato, a scanso di equivoci, ma è lecito porsi qualche domanda. La prima, che è piuttosto un’osservazione: due centesimi non pagati, a distanza di tre anni sono diventati 81 euro, cioè il malcapitato ha dovuto pagare quattromila volte più di quel che doveva. Dal che si deduce che se avesse dovuto pagare duemila euro, dopo tre anni quei duemila euro sarebbero diventati otto milioni. C’è una corrispondenza logica e commerciale tra 2000 euro e 8 milioni di euro? Possibile? Se la matematica non è un’opinione, questo è il risultato. E’ da Stato comprensivo o da Stato vampiro applicare queste moltiplicazioni? La seconda domanda: possibile che chi ha notato la mancanza di versamento di due centesimi non ci sia passato sopra e andato oltre? Mettersi a istruire una pratica per due centesimi, francamente ci sembra che la legge non c’entri nulla, ci sembra, invece, tipico di una mentalità persecutoria, da vero e proprio aguzzino.
Le leggi vanno applicate, non c’è dubbio, come non c’è dubbio che chi deve pagare, deve pagare e basta. Tuttavia, proprio questa vicenda fa capire che spesso non è questione di applicare o meno la legge, è piuttosto questione di ristrettezza mentale o di vero e proprio abuso di potere. Tanto più che lo stesso Stato così inflessibile quando deve ricevere, non lo è quando deve dare. Quando cioè lo Stato deve rimborsare il cittadino prima di tutto passano anni prima che quest’ultimo riceva il dovuto, poi non vengono applicate tutte quelle maggiorazioni che invece lo stesso Stato applica quando deve ricevere.
Conclusione: ricorrere alla violenza è sempre un atto riprovevole e condannabile, ma un qualche motivo di rabbia, alla luce dei tempi di attesa del dovuto da parte dello Stato, non sempre, ma a volte ha ragione di esistere. D’altra parte, non è dovuto intervenire Monti per invitare i funzionari di Equitalia alla “calma”? E se è così, non è un’ammissione di colpa o quantomeno di un qualche – chiamiamolo così – “difetto di comunicazione? La risposta ci sembra ovvia.