Al Vertice europeo di fine mese s’impongono scelte nette ma la Germania rifiuta gli eurobond e crea un clima di impotenza che rilancia in Italia l’ipotesi di elezioni anticipate
In Grecia ha vinto il partito pro euro, Antonio Samaras formerà un governo, magari con l’appoggio esterno del Pasok di Venizelos, ma il clima internazionale non si è rasserenato affatto. Il premier vuole rinegoziare gli aiuti e le scadenze, ma si teme che non riesca garantire le riforme radicali di cui la Grecia ha bisogno. Di qui, l’altalena dei mercati e il rischio domino.
Il Vertice europeo è stato caricato di attese e di decisioni, ma il Wall Street Journal, dopo il no della Merkel agli eurobond, ha paragonato l’impresa europea a raddrizzare la china a uno che voglia svuotare un lago con un mestolo. L’Italia è di nuovo nel mezzo dell’emergenza. Monti vuole arrivare al Vertice di fine mese con la riforma del lavoro approvata, per dare un segno all’Europa e ai mercati, ma il neo presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, è vero che ha detto che va approvata subito per dare un segno all’Europa, ma il suo giudizio è che la riforma è “una boiata”, che non inciderà minimamente nella flessibilità in uscita e dunque non inciderà nemmeno in quella in entrata. La legge contiene novità positive solo in fatto di assicurazione contro la disoccupazione, ma per il resto non cambia nulla, e ancora una volta sono gli osservatori internazionali a sottolinearlo.
Tutta questa incertezza si è ripercossa sui partiti politici, che sono essi stessi causa di confusione perché non hanno una visione chiara della situazione, delle terapie e delle prospettive. Al punto che si riparla di elezioni anticipate.
A Firenze, il sindaco Pd Matteo Renzi, definito il rottamatore, non ha smentito se stesso. Ha riunito centinaia di sindaci ed ha lanciato la sua campagna elettorale nelle primarie del Pd, mettendo l’accento sul fatto che nel Pd “siamo la maggioranza” e che bisogna svecchiare la nomenklatura. Parlando dei Righeira, gruppo canore degli anni 80, ha detto che alla loro epoca D’Alema, Veltroni, Marini, Rossi Bindi erano già deputati e lo sono ancora, più attaccati alla poltrona che mai. Nel suo modello di partito si rifà a dei concetti come modernità, buona e capace amministrazione, politica del fare, ma non cita nessuno dei guru ideologici del passato. Nessun pantheon, solo prontezza nell’affrontare i problemi della gente, a cui bisogna rivolgersi con un linguaggio chiaro e semplice, non in politichese. La sfida a Bersani è lanciata.
Il quale Bersani, davanti alla platea di 1500 rappresentanti di circoli democratici, non l’ha mai citato, percorrendo la sua strada politica che sono le primarie aperte e le alleanze compatibili. Bersani parte dall’ipotesi che Berlusconi voglia andare alle elezioni anticipate, perché si sarebbe reso conto che Alfano non ce la fa e allora vuole riprendere in mano la leadership del Pdl. Lo fa con un’immagine che non è troppo simpatica con i diretti interessati: “Devo dire che per due volte, quando sono caduti Prodi e Berlusconi, ci ho preso. Non capivo bene dove andava a cascare l’asino, ma fiutavo che stava per cascare”. Insomma, Bersani pensa che Monti abbia i mesi contati, la sua preoccupazione non è tanto quella di vincere le prossime elezioni, quanto quella di “vincere sulle macerie”. Di qui, da una parte un “no” secco a Di Pietro (“Se il voto fosse per domani, non ci sarebbe storia: lui sarebbe fuori”), dall’altra un “sì” accorato a Casini (“I centristi sanno che non si può non governare con la sinistra riformista”), quindi un’offerta di alleanza o prima del voto o anche dopo la vittoria del Pd che Bersani ritiene sicura. Nel centrodestra Alfano, con il sostegno pieno della maggioranza del gruppo dirigente, è deciso ad andare alle primarie e a fissare da subito una data. Vuole ricevere un imprimatur popolare alla sua candidatura e contemporaneamente disinnescare la “mina” Berlusconi. L’ex premier Berlusconi – e l’ha detto lui stesso in una manifestazione con i giovani a Fiuggi – è convinto che dopo un anno, la nuova leadership di Alfano non abbia prodotto quasi nulla. Quanto alle primarie sarebbe “roba politicista”, a cui lui non crede per riannodare la fiducia tra il partito e la società civile. Dunque, l’ex premier sarebbe per un nuovo partito formato da gente diversa, giovane e con le idee chiare, lanciato alla conquista dell’opinione pubblica su nuove prospettive. Ad esempio: o Merkel esce dall’euro o ad uscire potremmo essere noi, perché l’Europa così com’è non può che portarci lentamente al disastro. Berlusconi, insomma, vorrebbe ricreare una specie di Forza Italia distinta dal Pdl, con cui semmai fare alleanza. E’ convinto di valere, da solo, il 30%, quanto basta per rompere le uova nel paniere di Bersani. Non lo fa, perché vorrebbe trovare l’uomo adatto a interpretare il suo spartito
Nel Pdl non sanno come neutralizzarlo, ma è vero che l’appoggio a Monti non sta producendo consenso, anzi, solo sfiducia. Anche ultimamente, Alfano ha detto che l’appoggio incondizionato a Monti è l’ultimo, fino al vertice europeo per senso di responsabilità verso il Paese, ma così facendo rischia di fare il gioco dei suoi avversari (Casini e Bersani), non offre prospettive al suo elettorato ed è destinato a perdere. Insomma, nel Pdl si è aperto il problema della convivenza tra Berlusconi che vuole innovare a modo suo e gli altri che vogliono distaccarsene senza avere il carisma per sostituirlo senza pagare costi elettorali.