Incidente ferroviario sulla linea Brescia-Iseo-Edolo, la stessa di quindici anni fa quando uno scontro tra treni causò la morte del marito
Gli scontri tra treni, si sa, non sono poi rarissimi, e ancor meno gl’incidenti ferroviari, specie ai passaggi a livello. Però, che sulla stessa linea ci siano stati due incidenti con vittime prima il marito e poi, dopo 15 anni, la moglie, beh, alla coincidenza si aggiunge certamente anche la sfortuna. Quindici anni e mezzo fa Roberta Rolandi, allora ventottenne, sposata da 4 anni e con un figlio piccolo, lavorava come infermiera all’ospedale di Iseo. La mattina del 30 dicembre del 1996, poco dopo aver preso servizio, ci fu una notizia che le procurò ansia. Si erano appena scontrati due treni a Calino, sulla linea Brescia-Iseo.Edolo e lei sapeva che su uno di quei treni c’era suo marito, Roberto Romele, allora trentenne. In ospedale fu allerta, cominciarono ad arrivare vittime e ferite e Roberta sperava tanto di non dovere assistere allo spettacolo che purtroppo poco tempo dopo gli si presentò di fronte: il marito era una delle cinque vittime di quella tragedia, che fece tanti altri feriti.Dopo la morte del marito la donna fu assunta dalle Ferrovie Nord Milano, un lavoro sicuro e anche un po’ riparatore, in più un lavoro che le faceva ricordare giorno per giorno il marito. Fu assunta dapprima come bigliettaia, poi, col passare del tempo, come capotreno.
Mercoledì mattina della settimana scorsa, alle 8.25, appuntamento con il caso. Su quella stessa linea, precisamente tra Corte Franca e Borgonato, a circa tre chilometri dal luogo dell’incidente di 15 anni fa, un camion carico di terra, guidato da Manrico Maninfior, 55 anni, incontra un passaggio a livello. Si sono accesi i segnali rossi che indicano che le sbarre si stanno abbassando, ma lui, al posto di fermarsi, va avanti. Non riesce a passare dall’altra parte, perché la sbarra si è abbassata e contemporaneamente non riesce nemmeno ad andare indietro. Comincia a suonare all’impazzata, ma rimane fermo in mezzo ai binari. Gli sarebbe bastato dare un piccolo urto alla sbarra che aveva davanti a sé e questa si sarebbe alzata, azionata da un sistema di allarme automatico. Invece no, è stato capace di attraversare nonostante il rosso, ma non è stato capace di forzare la sbarra, sapendo benissimo che il treno in arrivo l’avrebbe preso in pieno, nella posizione in cui si trovava. E così è stato. Il treno andava ad una velocità normale, lo dice la scatola nera: 64 km orari. Il guaio è che lo schianto è stato violento ed ha squarciato il treno proprio dalla parte in cui si trovava la capotreno, Roberta Rolandi, ora quarantaquattrenne, schiacciata dalle lamiere. La donne, per fortuna, non è morta, è in coma farmacologico ed ha fratture in tutto il corpo. Questa volta, ad apprendere la terribile notizia non è stata lei, come quindici anni fa, ma suo figlio Matteo, 18 anni. Grave, ma fuori pericolo il camionista, colpevole dell’incidente. Ci sono stati anche una ventina di feriti, per fortuna non gravi. Il diavolo gli ha fatto attraversare i binari quando c’era il segnale rosso, ma gli ha offuscato la mente quando si trattava di forzarla per evitare il sicuro impatto. Dicono Raffele Cattaneo, assessore regionale ai trasporti, e Giuseppe Biesuz, amministratore delegato di Trenord: “Abbiamo speso 100 milioni di euro per eliminare 60 passaggi a livello su questa linea e dotare di dispositivi automatici di sicurezza gli altri 117, ma nessuno sforzo può azzerare la necessità della responsabilità umana. E qui siamo di fronte ad un comportamento gravemente irresponsabile”.
Ma quello che è fatto, è fatto. Tocca alla magistratura indagare ed arrivare ad una conclusione. Con un augurio: che questa volta Matteo non abbia a rivivere quello che visse sua madre quindici anni fa con suo padre.