Contrariamente alle previsioni della vigilia i Fratelli Musulmani sono stati sconfitti dall’Alleanza delle forze nazionali (musulmani moderati, laici e liberali)
Dal Nord Africa vengono due notizie di rilievo non previste né dagli esperti, né da autorevoli personaggi della politica e della diplomazia. Esse, tuttavia, sono di segno diverso: una è buona e l’altra meno.
Vediamo quella meno buona, che proviene dall’Egitto. Come si ricorderà, le elezioni presidenziali erano state vinte dal candidato dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi, che è stato proclamato con notevole ritardo rispetto all’esito delle elezioni. Tutti avevano visto in questo ritardo un atteggiamento preoccupato della Giunta militare al potere: proclamare Morsi vincitore e cercare di addomesticarlo agli interessi e all’autorità dell’esercito, da sempre fondamentale nella gestione del potere in Egitto, oppure proclamare vincitore Shafiq, esponente del vecchio regime di Mubarack. Come si vede, i voti contano in Egitto ma non altrettanto come la volontà dell’esercito, il quale con tutta evidenza ha avuto timore che dichiarando vincitore Ahmed Shafiq avrebbe suscitato un’ondata di proteste con strascichi di violenza e forse di morti che difficilmente sarebbero rientrate senza far precipitare l’Egitto e l’esercito stesso nel disastro. I militari hanno scelto la prima strada: nominare vincitore Mohamed Morsi e seguire gli avvenimenti con il tentativo di dominarli.
Ebbene, l’impressione è che il braccio di ferro sia appena iniziato e che presto potrebbe anche succedere uno scontro tra i Fratelli Musulmani e l’esercito. Infatti, il primo atto di Morsi è stato quello di giurare non in nome della Costituzione (che ancora non c’è) e davanti al Consiglio dei militari, ma davanti al popolo in Piazza Tahrir, che è un atto quantomeno di scortesia, oltre che di sfida, nei confronti della Giunta militare. Il secondo atto è stata la richiesta della liberazione di uno sceicco accusato in America di aver partecipato al progetto di attentato alle torri gemelle. Morsi sa bene che gli Usa non lo rilasceranno mai; averne richiesta a gran voce la liberazione è un atto di sfida nei confronti degli Usa e nello stesso tempo una chiamata a raccolta delle “truppe” islamiste. Il terzo atto, che è una sfida aperta sia alla Corte Costituzionale che ha emesso il verdetto di annullamento delle elezioni politiche, sia alla Giunta militare, è stato quello di annullare il provvedimento emesso dalla Corte Costituzionale. In sostanza, Morsi ha annullato il verdetto della Corte Costituzionale ed ha reintegrato nel Parlamento gli eletti destituiti. Se questi non sono segnali di scontro aperto, non sono nemmeno segnali di pacificazione. Per la Corte Costituzionale accettare passivamente la decisione di Morsi, che sconfessa la loro sentenza, vuol dire mettersi nelle mani del neopresidente; rifiutarla vuol dire chiedere alla Giunta militare di far rispettare le sentenze, che è forse quello che i militari vogliono sentirsi dire e chiedere. A stretto giro di posta, infatti, il Consiglio Supremo militare si è riunito d’urgenza per esaminare la vicenda. Se è così, lo scontro è solo agli inizi e si annuncia duro.
Ed ora veniamo alla notizia buona, che, contro ogni aspettativa, viene dalla Libia, dove sabato 7 si è votato per eleggere i 200 membri dell’Assemblea Costituente che avrà il compito di preparare la nuova Costituzione. Nello scorso numero abbiamo riferito della testimonianza di Hafed Gaddur, ex ambasciatore libico a Roma, passato dopo pochi giorni con gl’insorti e attualmente assolto dall’accusa di essere stato “disonesto” e poco “patriota”. Ebbene, Gaddur ha rivelato che la Libia è diventata terra di bande rivali che usano violenza e ammazzano per vendette personali e ha espresso il timore che le elezioni le avrebbero vinte i Fratelli Musulmani che già avevano anticipato che la nuova Costituzione libica altro non sarebbe stata che il testo della Sharia, cioè della legge coranica.
I risultati elettorali dicono tutt’altro. Contrariamente a quanto si pensava alla vigilia, i Fratelli Musulmani sono stati sconfitti, hanno vinto le formazioni che si riconoscono nell’Alleanza delle forze nazionali, che sono musulmani moderati, laici e liberali. La loro vittoria significa che la Libia ce l’ha fatta a non cadere dalla padella alla brace e che può seriamente incamminarsi verso un regime democratico o quantomeno che gli si avvicina. L’ex premier Jibril, colui che guidò la rivolta anti Gheddafi, e leader dell’Alleanza, si è rivolto a tutti invitandoli alla collaborazione e alla formulazione di una nuova Costituzione che faccia della Libia un Paese moderno e democratico.
Il ministro degli Esteri europeo, Lady Ashton, ha parlato di “elezioni che segnano una svolta”; Barack Obama di un’altra “pietra miliare verso la democrazia”. Se son rose, fioriranno, ma comunque si tratta di un buon avvio.