Già un anno fa i piani del Pentagono e della Casa Bianca erano diretti al rafforzamento della presenza Usa nel Sud–Est asiatico, ma ora si è passati alla fase operativa
Circa un anno fa, dal Pentagono filtravano le notizie della strategia della politica militare americana. Del resto, lo stesso Obama, in più occasioni, aveva accennato alla nuova strategia, che era quella di rafforzare la presenza americana nel Pacifico. Meno presenza in Italia, già tra l’altro attuata; meno presenza in Germania, anch’essa ridimensionata, e spostamento dell’interesse Usa nel bacino del Pacifico sul quale si affacciano Paesi che raggruppano il 60% (se non di più) dell’economia mondiale. Diamo uno sguardo alla cartina geografica: Giappone, Corea del Sud e del Nord, Cina, India, Birmania, Indonesia, Australia, ma anche, a est, i Paesi emergenti dell’America del Sud, oltre che, evidentemente, gli Stati Uniti.
Ma non è soltanto un fatto economico, pur ragguardevole. C’è soprattutto il fatto politico e militare, ambedue importanti. Ci sono Paesi amici ed alleati, come l’Australia, il Giappone, la Corea del Sud, le Filippine, ma ci sono Paesi cosiddetti canaglia, come la Corea del Nord, che da sola non riuscirebbe a fare nulla, ma con l’aiuto della Cina potrebbe far paura e mettere in questione gl’interessi Usa. E poi c’è la Cina, il colosso dell’Est asiatico, Paese con più di un miliardo di persone, con un’economia che dal sottosviluppo sta per essere considerata sviluppata, per quanto con chiari ed oscuri, ma comunque destinata ad allargarsi e a costituire uno dei mercati più appetibili, insieme a quello indiano, dei prossimi decenni.
Ecco, la Cina. La strategia americana, già da Bush agli inizi di questo secolo, è stata di attenzione, di dialogo e di scambi commerciali ed economici. Addirittura, qualche anno fa, si era ipotizzato un G2, formato esclusivamente da Usa e Cina, con la Russia momentaneamente impotente in quanto uscita da 70 anni di comunismo, al termine dei quali si è sgretolata politicamente con la formazione di piccoli Stati nazionali che cercano ognuno una propria via d’indipendenza e di benessere, per quanto ancora allo stadio iniziale. La Cina, poi, con grossi problemi interni di disuguaglianze e di diritti inesistenti, ha cercato all’estero la sua ricchezza, sfruttando le risorse di vari Paesi africani e instaurando rapporti di collaborazione con Paesi, spesso, nemici degli Usa, come l’Iran o l’attuale Venezuela, o diffidenti, come il Brasile.
Insomma, la Cina potrebbe rappresentare, su nuove basi, ciò che dalla fine della seconda guerra mondiale è stata l’Urss: un Paese con cui avere rapporti economici ma un Paese con cui, inevitabilmente, potrebbero sorgere dei conflitti d’interesse. Un Paese, in definitiva, da tenere a bada, anche perché potrebbe espandersi non soltanto a suo favore, ma anche ai danni degli Usa. Prendiamo il caso della Birmania, a lungo alleata della Cina, al punto da farsi colonizzare economicamente, industrialmente e politicamente. Quando si è accorta che la colonizzazione sarebbe venuta a costare troppo e quando una nuova classe dirigente è emersa dalle caserme, allora – e sono fatti recenti – gl’interessi della Birmania (che ora si chiama Myan Mar) hanno incrociato quelli degli Stati Uniti, interessati a darle una mano sulla via della democrazia e del progresso senza toglierle l’anima. Tutto questo processo, evidentemente, dopo lunghe sofferenze e per la tenacia del Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi.
Tirando i fili di quanto detto, l’interesse Usa nel Pacifico deve tener conto di tanti fattori che possono essere sintetizzati in due parole: sviluppo e sicurezza. Per assicurare l’uno e soprattutto l’altra, vale il rafforzamento dello scudo missilistico che consiste in tre potenti radar X-Band in Giappone e nelle Filippine, navi antimissile Aegis nel Mare del Sud della Cina e intercettori in Sud Corea o in Australia. Tutto questo con un occhio attento e continuamente puntato sulla Corea del Nord.
In Giappone già è stato installato un radar X-Band, ne serve un secondo che, con quello nelle Filippine, completa il quadro. Quanto ai missili per eliminare i vettori nemici, si sta studiando dove è meglio collocarli, se in Corea del Sud o in Australia. Dunque, c’è produzione tecnologica e bellica in grande stile negli Usa, come del resto anche in Cina e altrove. Nel Pacifico sarà realizzato – e la realizzazione è già a buon punto – uno scudo simile a quello che si sta confezionando nell’Europa Est e Sud, con la Polonia e la Repubblica Ceca che ospitano radar e con le navi Aegis (saranno aumentate) di stanza nel Mediterraneo e nel Golfo Persico, per tenere a bada l’Iran.
Come si vede, la politica va di pari passo con l’economia e tutte e due con la capacità di garantire sicurezza per un futuro che si spera migliore, anche se si sa che in questi campi si deve essere sempre preparati per ogni eventualità.