Con la Convention dei repubblicani a Tampa (Florida) parte infuocata la campagna elettorale per le presidenziali Usa
Con la Convention del partito repubblicano di Tampa (Florida), che ha lanciato nella corsa alla Casa Bianca Mitt Romney, la campagna elettorale per le presidenziali è entrata nel vivo. Mancano due mesi al voto e i due candidati stanno riscaldando i motori. Mitt Romney, secondo i sondaggi, parte con 5 punti in meno rispetto all’inquilino della Casa Bianca. Non sappiamo se la Convention e la spinta che ne è derivata abbia spostato le percentuali, sappiamo, però, che non sarà facile né per Romney recuperare, né per Obama vincere.
La Convention repubblicana, comunque, non è solo stata l’occasione per lanciare il messaggio del programma, i cui punti fondamentali sono meno tasse, lavoro e famiglia, ma è stata la sfida dell’immagine. In fondo, nemmeno Obama ha brillato per idee nuove, ha sì puntato la scommessa sull’occupazione, ma è anche lui tutto preso dall’immagine. Obama quattro anni fa rinnovò il “sogno americano”, Romney ha ripetuto: “Sono un americano, sono artefice del mio destino, sono libero di costruirmi la vita e anche il mio business solo con le mie mani”. Non si scappa, repubblicani e democratici usano lo stesso linguaggio. Si può dire: m i repubblicani copiano quello dei democratici e invece non è proprio vero se pensiamo che identico era il linguaggio di Bush. Quello del “forgiare il proprio destino” è un tema comune, anche perché è la base che unisce tutti, quindi viene usato volta per volta da ciascun candidato quasi per appropriarsi del marchio nazionale e convincere gli elettori delusi dell’altro.
Alla Convention di Tampa si sono rivisti personaggi che hanno fatto la storia più o meno recente, come Condoleezza Rice, che ha detto che “noi americani sappiamo trasformare l’impossibile in inevitabile, e ciò spiega la forte delusione nei confronti di Obama che, sebbene come motto abbia ‘Avanti’, in realtà ci sta portando indietro”. Il discorso più vivace e pungente è stato quello del candidato vice presidente, Paul Ryan, che ha detto che la “determinazione a forgiare il destino il popolo americano ce l’ha ancora, ma di sbagliato abbiamo il presidente”. Il candidato vice ha acceso la platea quando ha detto: “Chi ha finito il college non dovrebbe essere costretto a vivere nella stanzetta dell’infanzia a casa dei genitori, guardando a un poster sbiadito di Obama e chiedendosi quando potrà andarsene per cominciare una vita”. Oppure quando ha affrontato l’economia che non va: “Il problema non è più l’economia che Barack Obama ha ereditato o quella che vede per il futuro, ma l’economia in cui viviamo”, alludendo alla disoccupazione dei giovani e alla situazione attuale, che certo non è rosea.
Ma l’attesa maggiore, prima del discorso del candidato presidente, era l’intervento di Clint Eastwood, mitico attore e regista di film indimenticabili, il quale è stato annunciato dalla musica de “Il bello, il brutto e il cattivo” e da un’ovazione che solo un personaggio del suo calibro può raccogliere. Eastwood ha inscenato un duetto con un Obama che non era seduto sulla sedia al suo lato, perciò la sedia era vuota. Dunque, da attore consumato, ha fatto domande a Obama assente e si è dato anche risposte. Tipo: “Mi ricordo quando vinse le elezioni. Non ero un grande sostenitore, ma tutti accendevano candeline e piangevano. Piangevo pure io. Non ho pianto così intensamente da quando ho scoperto che in questo Paese ci sono ventitré milioni di disoccupati. Questa è una cosa per cui bisognerebbe piangere, perché è una disgrazia nazionale”. Oppure: “Noi siamo i proprietari di questo Paese. I politici sono i nostri impiegati. E quando qualcuno non fa bene il suo lavoro, lo si manda a casa. E’ tempo che venga qualcun altro a fare il lavoro”. Clint Eastwood, vestendo i panni di Harry la carogna – un poliziotto dai modi spicci – ha pronunciato all’indirizzo di Obama la stessa espressione che rivolgeva al criminale di turno: “Go ahead… Make my day”, cioè “Coraggio, fatti ammazzare”, anche se in realtà l’espressione è a doppio senso. Può significare, infatti, “Avanti, da’ un senso alla mia giornata”. Il doppio senso della frase, comunque, ha fatto storcere il naso agli avversari, specie a Michael Moore e a Mia Farrow, la quale gli ha rinfacciato di aver usato espressioni volgari nei confronti del presidente degli Stati Uniti. Obama, a stretto giro di Facebook, ha risposto con la sedia presidenziale di spalle, su cui c’era scritto: “Questa sedia è occupata” e si vede la sua testa.
A proposito di sedie vuote, Clint Eastwood non è stato originale, anche se probabilmente non era a conoscenza dei precedenti. Abbiamo letto che decenni addietro questo stratagemma lo usò Giancarlo Pajetta, e più recentemente, Vendola e Di Pietro, quando erano seduti dietro un tavolo e tra di loro c’era la sagoma di Bersani. A parte le frecciate, Mitt Romney è un personaggio che ha cuore e volontà, esattamente come l’inquilino della Casa Bianca. La campagna è lunga, di frecciate ne vedremo altre, sicuramente dall’una e dall’altra parte: sarà un bel problema per il popolo americano.