Il libro di Valeria Della Valle e di Giuseppe Patota mette in luce una realtà molto diffusa, anche tra uomini di cultura
Già il titolo (“Ciliegie o ciliege?”) fa capire cosa tratta il libro dei linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota. E’ un prontuario linguistico dei dubbi che possono assalire chiunque si metta a scrivere e di fronte ad una parola non sa qual è la forma corretta. Ecco, già la forma “qual è” potrebbe far nascere indecisioni: si scrive con o senza apostrofo? Gl’insegnanti delle elementari e delle medie dicevano sempre che tale e quale non si apostrofano mai. Cade infatti la “e” finale perché la parola che segue comincia essa pure con una “e”, ma non si apostrofa mai. Ancora: si dice gli insegnanti o gl’insegnanti? Risposta: tutti e due. Se la parola che segue “gli” comincia con una vocale diversa dalla “i”, si scrive, ad esempio, gli amici, mentre se comincia con una “i”, si può apostrofare, senza che ciò sia un obbligo.
Il libro di Valeria Della Valle e di Giuseppe Patota prende in esame 2407 casi di errori o di dubbi più frequenti quando si scrive (o si parla). Per quanto si possa conoscere bene una lingua, ci sono sempre dei dubbi. In genere si fanno molti errori, anche perché la lingua italiana conserva più di una forma. Un esempio? Oggi che si parla di abolire le provincie (o province?), qual è la forma corretta? La regola dice che quando una parola finisce in -cia e -gia, se precede una vocale, al plurale si conserva la “i” (camicia-camicie), se invece precede una consonante, la “i” cade (la pioggia-le piogge), ma non sempre è così. Dunque, dovrebbe scriversi “province” e invece si scrive anche “provincie”. In base alla regola si dovrebbe dire “ciliegie”, ma si dice anche ciliege, perché la vocale “i” è atona, cioè non si pronuncia.
Dicevamo che il libro è un prontuario linguistico della forma corretta (o delle forme corrette). Già, perché da una parte gli errori si fanno a causa di una non adeguata conoscenza della lingua, dall’altra i dubbi sorgono perché l’italiano ammette spesso più forme. C’è la regola e c’è l’uso, il quale, se accettato da gente comune e da uomini di cultura, può entrare a far parte, appunto, della forma d’uso e alla lunga, se resiste, diventare una regola grammaticale. Un esempio? Si dice lo psicologo, lo zingaro, lo pneumatico. Quindi, si dovrebbe dire (e scrivere): ho sostituito “gli pneumatici” (forma corretta), invece l’uso sta calpestando la regola, per cui comunemente si dice: ho sostituito “i pneumatici”. Fateci caso, anche in tv. Si dovrebbe dire: ho cotto gli gnocchi e invece si sente dire “li gnocchi”, che è un errore. Quanto agli errori più frequenti, ci sono gli accenti sbagliati. “Perché” (come le altre congiunzioni “affinché, poiché, giacché) si scrive con l’accento acuto (é), mentre “è”, verbo essere, si scrive con l’accento grave (cioè, aperto). Un altro caso di accento aperto è, appunto, “cioè”.
Molti errori dipendono dalla cattiva pronuncia nella lingua parlata che si riflette nella lingua scritta. Quandi si parla si dice “eccezione” con due “z”, mentre si sa che tutte le parole che finiscono in –zione vogliono tutte una sola “z”.
Per non parlare dell’uso del congiuntivo che ormai sta diventando un illustre sconosciuto! Il congiuntivo è il modo del dubbio, quindi va usato obbligatoriamente quando una frase dipendente è retta da una principale con un verbo che esprime dubbio, incertezza, insicurezza, desiderio. Esempio: desidero che tu ti bagni. “Bagni” è il congiuntivo presente, seconda persona singolare. Ma se si usa il noi, si deve scrivere “bagnamo” o “bagniamo”? La prima forma è l’indicativo presente, la seconda il congiuntivo, che il modo corretto della frase dell’esempio. Gli autori hanno preso in considerazione e chiarito un elenco enorme di dubbi. Noi ci fermiamo ai participi passati di alcuni verbi. Di esigere si dice “esigito” o “esatto”? La seconda forma è quella corretta. E di spandere e di espandere? Si dice spanso/espanso e spanduto/espanduto? Si dice “spanso e espanso, ma anche, più raro, spanduto. Non si dice, però, espanduto. Qual è il participio passato del verbo splendere? Oddio, non si dirà mica “il sole è spleso” o “il sole è splenduto”? Né l’uno, né l’altro, non esiste, perché è un verbo intransitivo e difettivo, manca cioè del participio passato e di conseguenza dei tempi composti. Non esiste nemmeno il participio passato di derimere, incombere e soccombere. In compenso esiste quello di redimere, che è redento.
Beh, basta, non possiamo scrivere una grammatica, ma si può leggere (con piacere) il libro di Valeria Della Valle e di Giuseppe Patota e consultarlo ogni volta che si ha un dubbio. Ordinandolo, magari: ne vale la pena.