Immigrati (e italiani) a caccia di rame ed altri metalli
In Italia, si sa, i clandestini o anche gl’immigrati comunitari, possono scorrazzare dove vogliono, da nord a sud, liberamente, senza che nessuno li controlli e chieda cosa fanno e dove. Quando poi qualche raro buon funzionario di polizia lo fa, trova sempre sindacati e partiti che gridano contro i diritti umani violati. Insomma, l’Italia è terra di nessuno e di tutti.
In tempi di crisi come questa, in cui i posti di lavoro spariscono a centinaia di migliaia in pochi mesi, prolifera il lavoro nero o la criminalità. Sono in tanti tra gli ambulanti che abbandonano il commercio di biancheria – anche perché evidentemente qualche controllo c’è stato nelle città d’importazione al nero – per darsi al commercio, sempre al nero. Come? Con il furto dei fili di rame. Rumeni e marocchini vanno alla ricerca spasmodica del metallo rosso. C’erano una volta i ferrovecchi, ambulanti italiani degli anni cinquanta e sessanta che facevano il giro dei paesini per acquistare, appunto, il ferrovecchio, che poi erano fili, lamiere messe male, reti metalliche di letti, staffe arrugginite, ma anche recipienti vecchi, bucati e ammaccati di rame, di alluminio e altri oggetti, sempre in metallo. I ferrovecchi, dunque, pagavano poco, ma ripulivano le case di ferraglia, rivendevano, riciclavano e portavano alle fonderie. I moderni ferrovecchi, invece, non vanno in genere in giro con furgoni alla luce del sole, vanno sì in giro, ma di notte, a rubare, tagliando linee telefoniche, linee elettriche, staccando tombini, binari morti.
Il metallo ricercato non è più tanto il ferro, ma è il rame (i rumeni e i marocchini in questo sono in concorrenza con gli zingari). Rubare i cavi elettrici di rame comincia a diventare rischioso, anche perché le linee ferroviarie sono trafficate, quelle abbandonate già razziate. Ma ecco che la fantasia dei ladri si è adeguata alle necessità del mercato (nero) e della sopravvivenza, anche se si tratta di un vero e proprio commercio con riserve di caccia molto fornite.
Parliamo dei cimiteri. Una volta nei camposanti si stava (relativamente, dipende dalle opinioni) in pace: nessuno ti disturbava. Sì, qualche volta poteva succedere che qualche bara non ancora tumulata veniva visitata da ignoti che andavano alla ricerca di scarpe o anelli, ma in genere il luogo, come dire? un po’ funebre, teneva distante i male intenzionati. Oggi, invece, i ladri non guardano più in faccia a nessuno, neppure ai morti, con una strana divisione dei compiti. I rumeni entrano nei cimiteri generalmente incustoditi e, anzi, aperti al pubblico, giorno e notte, per portare via bicchieri di rame per fiori, croci di ferro (se ancora ne esistono), lampade, portafoto, lettere in ottone; gl’italiani sono specialisti nel divellere inferriate e porte di cappelle, pubbliche e private.
Gli affari vengono fatti al nord come al sud e al centro. Potendo ognuno entrare liberamente, i grandi come i piccoli cimiteri non fanno differenza. I primi sono affollati e permettono una perlustrazione in incognito, i secondi sono isolati dall’abitato e pochissimo frequentati, specie in certe ore della sera e soprattutto della notte. Non si sa mai. Insomma, i moderni ferrovecchi possono lavorare indisturbati, anche se accade qualche rara volta che vengano sorpresi e arrestati. In provincia di Alessandria, ad Arquata Scrivia, i mariuoli, dopo aver caricato su un camion tutta la refurtiva, già che c’erano, hanno portato via anche un escavatore parcheggiato nelle vicinanze per lavori.
Non è raro, specie agli inizi di novembre, che dai cimiteri vengano portati via i fiori, magari appena sistemati. Fateci caso, nei cimiteri i fiori abbondano, portarli via appena messi o qualche ora dopo e rivenduti a prezzi modici ai fiorai è conveniente, per i ladri e per i fiorai che poi l’indomani li ricollocano di nuovo nel mercato. Che è fiorente, non conosce crisi. I Comuni fanno quello che possono: mettere un custode costa, piazzare delle telecamere è per lo più inutile, bisogna sperare che la crisi passi in fretta, così almeno qualche ladro avrà la possibilità di cambiare mestiere e lasciare i poveri morti in pace. Già, i poveri morti. Se la crisi perdurerà, sono proprio loro a rischiare. Non ci vuole nulla a staccare la pietra di marmo, a tirare fuori dal loculo la cassa, aprirla, lasciare il povero estinto in mezzo alla strada e portare via la bara, che ai familiari del defunto costa un occhio della testa. E tutto questo senza che lo sfrattato possa dire nulla, nemmeno implorare una proroga di sfratto.
Speriamo che non arrivino questi tempi, anche se ai titolari delle onoranze funebri gli ci vorrebbe, eccome: pagano le casse a 75 euro (mercato rumeno in Romania) e le rivendono a 2500-3000 euro in Italia. A volte viene proprio voglia di gridare che i veri ladri non sono i nuovi ferrovecchi, ma proprio loro, che tra l’altro non rilasciano nemmeno fattura al completo. Ma questa è una storia vecchia.