Dopo i vani appelli a Casini e a Monti per la ricomposizione dell’area di centrodestra
La settimana scorsa avevamo scritto che il Pdl aveva minacciato il ritiro della fiducia se il governo non avesse concesso l’election day. In realtà, il ritiro della fiducia c’è stato – anzi, più che di sfiducia si è trattato di astensione – ma non per il mancato election day, ma perché il “torno, non torno” di Berlusconi si è bloccato sul “torno”, ed è stato subito polemica. Un vero e proprio fuoco di sbarramento è partito da sinistra e dal centro, con toni demonizzanti e catastrofici per l’Italia. Sono di nuovo al lavoro le procure, i giudici, i polemisti di professione, gli agit-prop mai andati in pensione, gl’intellettuali, comici e satirici, secondo un copione già visto.
Ma la domanda è: chi glielo ha fatto fare a Berlusconi, 76 anni, ad annunciare la sua nuova discesa in campo dopo aver dichiarato più volte di aver rinunciato alla candidatura a premier o addirittura di aver chiuso con la politica? Perché ha deciso di lanciarsi in questa nuova avventura e di ritornare al centro di attacchi e insulti che non sono mai venuti meno ma che adesso si moltiplicheranno a dismisura? Noi siamo convinti che avrebbe fatto meglio a tenere fede a quella dichiarazione rilasciata l’anno scorso quando annunciò solennemente e serenamente il passo indietro. In fondo, si era dimesso da premier perché non aveva più una maggioranza certa e, prima di farlo, aveva ricevuto un voto di fiducia su una serie di provvedimenti che l’Europa chiedeva in materia economica, al punto da prendere decisioni e misure non condivise dal suo ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. In più, dopo essere stato costretto alle dimissioni, diede l’appoggio a Mario Monti, premier “tecnico”. Molti nel Pdl gli chiedevano di votare la sfiducia e di andare alle elezioni, ma lui tirò per la sua strada e votò la fiducia “per senso di responsabilità verso l’Italia”. In fondo, stava uscendo di scena con onore.
Noi, dunque, siamo convinti che Berlusconi poteva benissimo risparmiarsi un’altra ondata di insulti da parte di chi è abituato a farlo per Dna, invece no, ha deciso di candidarsi di nuovo pur se, secondo noi, non ne ha nessunissima voglia. La risposta alla domanda precedente è che l’ha fatto per salvare un’area politica, quella del centrodestra, che rischiava di scomparire con la sua uscita di scena. Dopo aver annunciato la sua candidatura a premier, Berlusconi ha detto che torna “per vincere”. Secondo noi, non solo perderà, ma lui sa benissimo che perderà.
A nostro avviso, l’anno scorso e nel corso di tutti questi mesi, Berlusconi sperava che Alfano avrebbe rilanciato il suo partito, tra l’altro nato da un’idea di semplificazione del sistema partitico italiano, unendo più forze più o meno compatibili in un unico contenitore, così da contrastare la proliferazione dei partitini, male del sistema politico italiano, ma il rilancio non c’è stato. Anzi, sono emersi sempre maggiori contrasti tra ex An e ex di Forza Italia. Alfano, persona seria, non ha però la stoffa del leader carismatico, per cui, con Alfano leader, il Pdl alle prossime elezioni politiche avrebbe raggiunto sì e no il 16%, condannato ad un ruolo marginale.
Ma il ritorno di Berlusconi non è solo per questo motivo. Nel corso di questi mesi ha tentato di tutto per ricomporre l’area dei moderati, ma non c’è riuscito. Addirittura ha detto che non si sarebbe nemmeno candidato a deputato pur di favorirne l’alleanza. Casini gli ha chiuso la porta in faccia, annunciando che dopo le elezioni avrebbe fatto un accordo con Bersani a sostegno di una nuova maggioranza frutto dell’incontro tra moderati e riformisti. L’unica differenza tra Bersani e Casini era che Casini sosteneva (e sostiene) la candidatura di Monti alla guida del nuovo governo di legislatura mentre Bersani sosteneva (e sostiene) la sua premiership offrendo a Monti o la presidenza della Repubblica o il ministero dell’Economia.
Dopo il rifiuto di Casini, Berlusconi ha chiesto a Monti stesso se voleva diventare il leader dei moderati e il prossimo premier politico espressione dei moderati, ma anche Monti ha declinato l’offerta. Sicuramente avrebbe accettato solo a condizione a chiederglielo fossero stati tutti e tre i partiti che lo hanno sostenuto fino a poco tempo fa (Pdl, Pd e Udc), ma questo non sarebbe stato possibile per i motivi prima elencati, per indisponibilità soprattutto di Bersani.
A questo punto, la vittoria di Bersani alle primarie del centrosinistra e il rilancio elettorale del Pd hanno convinto Berlusconi a ritornare nell’agone politico, soprattutto perché Casini e Montezemolo, facendo una lista dei moderati che si sarebbe alleata con Bersani dopo le elezioni, avrebbero ipotecato la dissoluzione del Pdl privo di una leadership forte. Insomma, Berlusconi sa che l’area dei moderati in Italia è maggioritaria ma che per le sue divisioni interne e per i personalismi dei vari leader sarebbe stata sconfitta dal Pd in maniera definitiva, per almeno vent’anni, e dunque, per salvare quest’area da sicura e duratura disfatta, essendo lui l’unico personaggio che potrà tenerla unita e ridarle un futuro, ha sciolto la riserva e, pur contro voglia, ha annunciato il ritorno del generale.
Perderà dunque, e lo sa benissimo, ma avrà salvato il Pdl (o come si chiamerà), e con una base elettorale del 20-23 % o del 26-28% con la Lega, potrà tenerla unita e avere più tempo per trovare un altro leader che ne assicurerà l’esistenza e il rilancio in futuro. Almeno in teoria.