Diceva uno scrittore latino: “O vecchiaia, o vecchiaia, se anche non ci fossero altri mali, basteresti tu sola”, a rovinare la salute della gente. La vecchiaia, infatti, comporta una serie di piccoli e grandi problemi connessi all’usura delle cellule e al funzionamento dei vari organi. In genere, come si può facilmente immaginare, i problemi, come le disgrazie, non vengono mai da soli.
Alcuni di questi problemi, con l’ingresso nell’anzianità, sono le cosiddette demenze, in particolare quella detta di Alzheimer, caratterizzata da perdita di memoria e anche dal cosiddetto “decadimento cognitivo”. Si tratta di una malattia di tipo neurologico che si traduce in una difficoltà crescente a non essere in grado di svolgere le più elementari funzioni della vita di ogni giorno. Quando il livello della patologia è diventato rimarchevole, vuol dire che non si è più autonomi. Uno dei primissimi sintomi della malattia consiste in un calo di memoria, con tendenza a dimenticare date e nomi o parole che fino a non molto tempo prima facevano parte del pane quotidiano del soggetto. Ovviamente, il processo non è improvviso, la malattia ha un periodo più o meno lungo di gestazione, ma i primi sintomi sono proprio questi, anche se va precisato chiaramente che se a uno sfugge un nome non vuol dire che ha un inizio di Alzheimer. Ci sono sbadataggini che rimangono sbadataggini e sbadataggini che possono essere una spia della malattia, dovuta, comunque, anche all’invecchiamento, mentre l’Alzheimer può, seppure più raramente, colpire anche se non si è vecchi.
Quindi, non bisogna lasciarsi prendere dal panico se uno ha un’amnesia, ma non bisogna nemmeno sottovalutare il caso, specie se si presenta con una certa frequenza.
A che è dovuto l’Alzheimer? E’ dovuto alla degenerazione dei neuroni della corteccia cerebrale. I neuroni sono quelle cellule che trasportano i messaggi nervosi. Le percentuali delle persone che sono affette da demenze variano, in ogni caso tendono ad aumentare nei Paesi avanzati. Negli Stati Uniti sono 5 milioni, in Italia 600 mila, anche se non tutte hanno l’Alzheimer. In Italia, ad esempio sono circa 450 mila. Questi dati fanno riflettere sulla valenza sociale e sanitaria del problema, perché si tratta di persone bisognose di cure e soprattutto di assistenza.
La malattia è seria e specialistica e noi non vogliamo certo cimentarci con essa, vogliamo solo offrire qualche informazione generica utile per farsene un’idea. Racchiudiamo la nostra informazione in quattro domande e in altrettante risposte.
Prima domanda: si può guarire dall’Alzheimer? Oggi non esistono terapie farmacologiche in grado di bloccare i meccanismi alla base della malattia, come accade per varie altre patologie, però esistono delle molecole che agiscono proprio sui sintomi, in particolare sul sintomo della memoria, tanto che si può rallentare il decorso della perdita della memoria stessa. I farmaci approvati in Italia per la cura della perdita della memoria sono i cosiddetti inibitori delle colinesterasi (donepezil, rivastigmina e galantamina) che sono efficaci per aumentare le concentrazioni cerebrali dei neurotrasmettitori che agiscono nei processi della memoria. Seconda domanda: sono importanti o non servono a nulla il movimento e l’alimentazione? La risposta è ovvia: una sana alimentazione aiuta, come aiuta il movimento, tutti e due utili, se fatti con misura e intelligenza, per contrastare tutti i fenomeni di degenerazione. Quindi dieta mediterranea e movimento quotidiano. A questo si deve aggiungere la curiosità intellettuale: la lettura, l’interesse alla conoscenza, l’attività intellettuale in senso lato. Va detto, però, altrettanto chiaramente che non esistono misure preventive certe della malattia.
Terza domanda: si può diagnosticare la malattia prima della sua fase acuta? La risposta è sì, si può. In genere la malattia, come detto, inizia con ciò che può essere confuso con la sbadataggine, con lo stress, però la frequenza di queste sbadataggini dovrebbe far suonare il campanello di allarme. Non solo. Oggi, scrive il professor Daniele Imperiale, noto neurologo, la scienza ha permesso “di misurare a livello del “liquor cerebrospinale” le concentrazioni di alcune molecole che sono coinvolte nella patogenesi della malattia (tau totale, tau fosforilata e peptide beta-amiloide 42)”.
Quarta domanda: in futuro sarà possibile guarire? E’ difficile rispondere, tuttavia c’è da dire che nel 2013, negli Usa, su soggetti ad altissimo rischio, si sperimenteranno nuove terapia con farmaci biologici “in grado di interferire”, aggiunge il professor Imperiale, “nei meccanismi di deposizione delle proteine patologiche a livello di tessuto cerebrale”.