Meno giocatori al superenalotto, al Win for live e alle sale Bingo, mentre aumentano le giocate quando la percentuale di vincita è maggiore
“Rien ne va plus”, nel vero senso dell’espressione. L’Italia, terra di poeti, artisti e giocatori, perde un pezzo, l’ultimo, i giocatori. Quelli d’azzardo, non quelli del calcio.
Si sa, i giochi d’azzardo, dal lotto al superenalotto, dal totocalcio (ora, crediamo, un oggetto d’antiquariato) al gratta e vinci, dalle slot machine alle slot on line, dal poker al poker cash e al bingo, sono stati i terreni di mietitura dei vari governi (Da D’Alema con le sale bingo nel 2000 alle slot on line di Monti) per speculare sui vizi degli italiani e fare soldi a buon mercato. Ma ora, la mucca grassa del vizio sta chiudendo bottega. Gl’italiani non giocano più, o meglio, non giocano più come prima, e i motivi non bisogna cercarli nell’improbabile ventata moralizzatrice delle organizzazioni religiose, ma semplicemente nel fatto che ormai gl’italiani non hanno più nulla da giocare. Tra aumenti periodici di tariffe, tra l’inflazione galoppante, gli aumenti in tutti i settori, la disoccupazione, le tasse nazionali e regionali, il fisco non concede più nemmeno l’illusione del divertimento: i soldi se li prende direttamente dalle tasche della gente e amen.
E’ stata pubblicata la tabella sul gioco d’azzardo in Italia dal 1990 al 2011. Gli occupati di questo settore sono sul chi-va-là, perché alcuni giochi sono in discesa libera. Il gratta e vinci ha perso il 15,8%, le scommesse ippiche il 20,4%, il superenalotto il 25,6%, il Win for life addirittura il 78,5%, le sale Bingo sono deserte, un colossale flop, le sale scommesse non vanno molto meglio.
Si potrebbe dire: benissimo, era ora che gl’incalliti del gioco appendessero i ferri del mestiere al chiodo e mettessero giudizio. Il guaio è che non hanno messo giudizio, i giocatori non hanno nemmeno gli occhi per piangere, dunque, più che di una rigenerazione dell’animo, si tratta di uno stato di necessità che, ovviamente, non è di segno positivo per gli altri campi. La pensione non basta più, la paga o si è assottigliata per effetto dell’inflazione o è traballante. Si respira una brutta aria, che non è quella di fumo delle salette appartate, ma quella della miseria, delle tasche vuote. Resistono un pochino le slot machine nei bar, ma esse sono l’ultima spiaggia degli irriducibili che non sanno resistere al sogno di rimediare qualche centinaio di euro a buon mercato e finiscono poi per rimetterceli.
Le statistiche dicono che a gennaio 2012 c’è stato un picco nella raccolta, cioè nelle somme giocate (più 42% rispetto allo stesso mese del 2011), ma poi le percentuali hanno cominciato a far segnare una discesa vertiginosa, fino all’estate scorsa, quando è iniziato il crollo delle entrate dello Stato e contemporaneamente lo svuotamento delle tasche della gente.
Insomma, è verificabile plasticamente la diminuzione del gioco in coincidenza con l’aumento delle tasse e delle tariffe. Calo di consumi e calo di gioco: gl’italiani sono costretti a stringere la cinghia sia al supermercato che nel divertimento.
Tutto questo non vuol dire che non ci sia più gente disposta a finanziare lo Stato abbrutendosi davanti ad una macchinetta, vuol dire che hanno cambiato tipo di gioco, preferendo quelli che, almeno sulla carta, danno di più. Ad esempio, c’è il flop del superenalotto, che dà indietro il 45% delle giocate, ma c’è il boom delle slot en line e del poker cash, che danno il 97 per cento della raccolta: si spende poco e si vince poco; da una parte ci si diverte, dall’altra non si rischia il crollo. E’ questa la nuova tendenza, invero dettata da uno stato di necessità avvilente, ma comunque con il pregio di mettere i giocatori incalliti di fronte alle loro responsabilità. Ammesso che questa parola non sia sconosciuta nel vocabolario dei giocatori.