Il presidente iraniano, in carica ancora per tre mesi, al Cairo per tentare un impossibile asse tra i due Paesi
Grandi giochi in Medio Oriente, nel mondo musulmano e nei singoli Paesi, primi fra tutti l’Egitto e l’Iran, divisi in questo come in altri momenti della storia dal fatto che il primo è di religione sunnita (che vuol dire “tradizione” e che si fondano sulla comunità dei fedeli come autorità religiosa), l’altro sciita (cioè si rifanno alla fazione di Alì, cugino e genero di Maometto in quanto sposò la figlia Fatima, come legittimo successore del profeta). I sunniti sono maggioritari, gli sciiti minoritari, ma si combattono e si contendono le rispettive egemonie in altri Paesi. Un esempio? La Siria, Paese sciita e per questo difeso dall’Iran e combattuto dall’Egitto che non vede l’ora che Assad sia mandato via con le buone o con le cattive. D’altra parte, la guerra civile in Siria tra Assad e i suoi sostenitori, alawiti (sciiti), non è altro che la guerra dichiarata dai sunniti in maggioranza contro gli sciiti in minoranza, esattamente come era nell’Iraq di inizio secolo, con Saddam Hussein, sunnita ma in minoranza rispetto alla maggioranza degli sciiti. Ecco, in Siria è esattamente come era in Iraq all’epoca di Saddam, solo a parti inverse.
Ebbene, tra Iran e Egitto c’è stato il disgelo negli ultimissimi tempi, ma siccome sono di fazioni religiose diverse in realtà la pace sarà sempre armata. In occasione dell’Assemblea dei Paesi non allineati tenutasi a Teheran nel mese di agosto, il neo presidente egiziano, Mohammad Morsi, partecipò all’incontro e fu il primo di un egiziano dopo la crisi del 1979, quando il potere fu tolto allo Sciah di Persia e preso dall’imam Khomeini. In quell’occasione, lo Sciah di Persia si rifugiò in Egitto, che lo ospitò e protesse, fino alla morte, tanto è vero che gli furono tributati funerali solenni. Ebbene, dunque, da allora tra i due Paesi ci fu il gelo, accentuato anche dal fatto che Sadat firmò la pace con Israele, allora come ora considerato il nemico numero uno dall’Iran. Se poi si aggiunge il fatto che tra sciiti e sunniti non corre buon sangue, ci si può immaginare il tipo di rapporti tra i due Paesi. I quali, in quanto grandi Paesi con tradizioni millenarie, esercitano influenze marcate nella regione.
La settimana scorsa il presidente dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad, si è recato in Egitto, al Cairo, e come per Morsi in agosto fu il primo viaggio di un egiziano a Teheran, così quello al Cairo di Ahmadinejad è stato il primo di un presidente iraniano dal 1979, anno della rivoluzione Khomeinista. In realtà si è trattato di un viaggio di pura cortesia, perché l’oggetto della visita – il disgelo e il riavvicinamento – rimane un ostacolo pressoché insormontabile.
Vogliamo vedere il tenore dei rapporti? Quando Morsi andò a Teheran in agosto, disse al presidente iraniano che l’Egitto si opponeva “a Damasco e a tutti i suoi sostenitori”, in poche parole all’Iran. Morsi disse anche che il dialogo tra i loro due Paesi poteva riprendere solo a condizione che Assad fosse stato abbandonato al suo destino dall’Iran. Il che non è mai avvenuto e dunque tra i due Paesi persistono gl’interessi opposti.
Il presidente iraniano al Cairo non ha concluso nulla, tanto più che lui sciita si è dovuto sorbire la predica di un sunnita qual è il grande Imam di Al Azher Al Payyeb, che ha parlato come guida religiosa trattandolo a pezze vecchie. Cosa gli ha detto il grande Imam? Ha detto: “Respingiamo in modo categorico ogni tentativo sciita di intromettersi nei Paesi sunniti, a partire dal nostro fratello Bahrein”. Poi, a scanso di equivoci, ha precisato meglio: “Avversiamo ogni tentativo di diffondere la fede sciita in Egitto”. Il presidente Ahmadinejad ha abbozzato e taciuto, consapevole delle distanze siderali che caratterizzano l’Iran e l’Egitto a maggioranza Fratelli Musulmani che sono sunniti mezzo fanatici.
Il presidente Ahmadinejad se n’è tornato a Teheran a mani vuote, dall’Egitto non ha avuto nessuna apertura di credito per il suo Paese. D’altra parte, sarà presidente ancora per tre o quattro mesi e poi non potrà più ricandidarsi, anzi, deve stare attento, perché potrebbe succedergli quel che è successo al Procuratore capo di Teheran, Saeed Mortazavi, suo amico e alleato, che è stato arrestato poco dopo la partenza del presidente iraniano verso il Cairo, a dimostrazione del clima incandescente che regna in Iran a tre mesi dalle elezioni presidenziali che saranno vinte da uno dei seguaci più fedeli di Khamenei, archiviando l’epoca di Mahmoud Ahmadinejad.
Conclusione: difficile una vera riconciliazione tra Iran e Egitto, ma possibile uno scambio di vedute tra di loro in merito a questioni scottanti che riguardano la regione mediorientale, come appunto lo è la Siria in questo momento.