I dati di uno studio del Censis sulla famiglia
Il Censis ha fatto tutto da solo. Ha compiuto lo studio, ha tratto una fotografia realistica della famiglia italiana ed ha emesso il giudizio, che è il seguente: “La famiglia italiana va in pezzi… ma non perde i pezzi”. Giuseppe De Rita, il sociologo presidente del Censis, non smentisce mai se stesso. Le sue ricerche sono precise e complete, come anche l’organizzazione del lavoro, le analisi e le conclusioni, racchiuse, appunto, nel giudizio citato.
A noi non resta che scendere nei dettagli, prima di citare i quali una premessa è d’obbligo: la famiglia italiana, quella che contraeva matrimonio con rito civile prima e rito religioso dopo, non c’è più, ma è rimasta la famiglia, quella del matrimonio solo civile e quella delle unioni di fatto. La famiglia si è scomposta, poi ricomposta e quindi modificata ma sempre famiglia è. Ed ora i dettagli. Un bambino su quattro nasce fuori dal matrimonio (in percentuale il 23,6%). Le famiglie monogenitoriali, quelle cioè formate da un solo genitore, le madri, le donne cioè che non sono vedove, né sposate, sono il 18%. Hanno fatto registrare un incremento di ben il 78% rispetto a prima, con una cifra assoluta pari a un milione di unità. Insomma, per mettere al mondo un figlio, non c’è bisogno di contrarre matrimonio, lo si fa e basta. Probabilmente, non c’è una libera e ponderata scelta, c’è chi, di fronte ad un figlio, si ritira, magari assumendosene le conseguenze da “esterno”, ma la fotografia è questa.
Negli ultimi dieci anni le coppie coniugate con figli sono diminuite di 739 mila unità (meno 7,8%), mentre le coppie non sposate con figli sono 274 mila in più (ecco la tendenza della scomposizione e della ricomposizione di cui si parlava prima). I single, uomini e donne, in Italia sono quasi 7 milioni, tanti quanti gli abitanti della Svizzera. Prima annotazione: matrimonio uguale celebrazione dell’atto in chiesa non è più valido. Seconda annotazione: chi si sposa (in chiesa e/o in Comune) si separa in ragione del 37%, quindi 37 coppie su 100 rompono il legame giuridico o religioso e comunque quello affettivo. Ma, ed ecco la nota positiva, sono un milione anche le famiglie ricostituite, quelle fallite, diciamo così, in prima istanza e che ci riprovano sperando in una migliore fortuna.
Dunque, in Italia non tiene più la famiglia tradizionale con riti e miti, ma tiene la famiglia comunque, quella formata da un uomo, una donna e figli.
Ecco la classifica dei desideri degli italiani quando si parla di amore, di legami, di ambizioni, di amicizia, di libertà, in una parola di valori. Il 96% degli italiani ha messo la famiglia al primo posto, famiglia, va da sé, intesa come nucleo familiare. Al secondo posto hanno messo la libertà (magari sono stati troppi gli intervistati che fino ad allora vivevano in una prigione riferita al matrimonio precedente, al lavoro o ad altro. Al terzo posto hanno messo l’amicizia. C’è poco da fare, i sentimenti sono il sale della vita delle persone: se non è possibile l’amore, si ripiega sull’amicizia, che è una forma di amore senza sesso. Al quarto posto è stata messa la realizzazione professionale e solo al quinto posto la sessualità e il divertimento. Magari nella stragrande maggioranza degli italiani c’è il chiodo fisso del sesso, ma poi prevale la testa sulle spalle. A dimostrazione dell’importanza della famiglia c’è una controprova: il 35% dei giovani trova nel proprio padre o nella madre il proprio modello e solo una percentuale infinitesimale un altro parente o un amico. A ulteriore riprova dell’importanza della famiglia, c’è da specificare che sono 250 mila le istituzioni non profit che si occupano in un modo o in un altro della famiglia e sono 5 milioni le persone adulte coinvolte nell’associazionismo di volontariato.
Ecco la conclusione di Luciana Saccone (Censis): “La famiglia c’è e in periodi di crisi economica e sociale è chiamata a svolgere funzioni di sostegno ai suoi membri ancora di più che in passato. Il nostro recente Piano nazionale della Famiglia ha come obiettivo quello di promuovere un welfare compatibile con le esigenze di sviluppo del Paese anziché orientato al mero assistenzialismo come in passato”.