Soldini torna alla commedia, di quelle belle, sussurrate, poetiche, raccontate con uno sguardo un po’ sognatore distaccandosi dalla realtà, non per evaderne ma per guardarla dall’alto. Con gli occhi di un ragazzo amico di una cicogna, con quelli di un bizzarro ed originale moralizzatore nullafacente con il solo scopo di sensibilizzare i passanti, così come quelli di un idraulico alle prese con le difficoltà di un padre solo e confuso e anche gli sguardi di una giovane artista attenta a cogliere tutto quello che passa inosservato ai più. Poi ci sono gli occhi di chi ha visto tanto, come gli uomini che hanno fatto la storia e la cultura dell’Italia e che riescono a meravigliarsi, a rattristarsi e inquietarsi alla vista di quello che il loro Paese è diventato, ma che non perdono mai la speranza e riescono ad intravedere un segno di buon auspicio anche solo nel semplice volo di una cicogna! Il comandante e la cicogna di Silvio Soldini, è finalmente visibile anche in Svizzera
Interviste a cura di Eveline Bentivegna
Parliamo della genesi del film: come nasce Il comandante e la cicogna?
Nasce da un’esigenza di staccarmi dalla realtà, invece che esserci dentro, come per gli ultimi due film, Giorni e nuvole e Cosa voglio di più. Nasce dal desiderio di guardare la realtà un po’ dall’alto e capire cosa sta accadendo. E nasce anche da un’esigenza di fantasia, di inventare e lasciarsi trasportare dalla cicogna e guardare dall’alto i personaggi che si muovono alla ricerca di qualcosa che non sanno neanche loro bene cosa sia, all’interno di un Paese che sta andando alla deriva. E poi come succede spesso nei miei film, è difficile capire come nascono personaggio e storia perché è frutto di un lavoro a 2 o 3 persone, come in questo caso.
Al di là di alcuni tratti surreali, facilmente riconoscibili, il film sembra il racconto di una realtà precisa che disegna la situazione odierna dell’Italia che non è proprio delle più felici: precarietà economica, le difficoltà genitoriali, l’impossibilità per i giovani di interagire con gli adulti, gli approcci istintivi e a volte sbagliati col sesso, la corruttibilità umana che è sempre dietro l’angolo. Sono questi secondo te i mali che caratterizzano l’Italia?
Questi e anche altri. Non è che volevo mettere tutto il peggio che c’è, l’importante è far convivere dei personaggi che sguazzano in queste situazioni, come l’avvocato Malaffanno in cui non c’è morale o etica, ma solo un essere più furbi dell’altro, in un luogo dove chi è più furbo vince da un lato e, invece, dall’altro lato i personaggi più puri e più ingenui che si rifanno ancora ad altri valori che sembrano essere caduti in disuso, come Diana e Leo. E poi ci sono i valori messi in piazza da Garibaldi, che sono valori di un’altra epoca in cui tanti hanno creduto, e che adesso vengono utilizzati per dare un nome a dei partiti e che non hanno niente a che fare con quei valori…come il termine “libertà” che ormai è dappertutto.
Alcuni degli aspetti negativi della società nel film sono raccontati con una tale leggerezza che ci fa quasi sorridere, sembra uno sguardo rassegnato sui difetti dell’Italia, come per dire che non c’è nulla da fare?
Fa sorridere troppo? Non credo che ci sia una rassegnazione di fondo, c’è solo un puntare il dito su certe cose e poi sul finale, quando Garibaldi vede la cicogna arrivare pensa “finalmente un buon augurio” e questo per me potrebbe indicare la possibilità di una rinascita, al di là di quello che è successo nelle ultime elezioni, si può guardare verso il futuro in un altro modo. Cercando di pensare che le cose possano cambiare.
Il film è stato girato per la maggior parte a Torino, anche se non abbiamo un’identificazione precisa della città, come a voler rappresentare un po’ tutte le città italiane. La stessa cosa si può dire per l’uso dei dialetti diversi dei protagonisti?
Sì, l’idea era questa: rappresentare l’Italia guardando dall’alto questa città, che non si sa bene che città sia, potrebbe essere anche una città inventata. Se avessi potuto avrei girato anche in quattro città diverse mischiando tutto insieme. Una delle cose belle del cinema è che si può inventare e, infatti, il film è girato in due città, quasi tutte le scene del film sono state girate a Torino, mentre alcune scene delle statue e le riprese dall’alto sono state girate a Milano, quindi le due città si fondono assieme.
I protagonisti, anche se in balìa degli eventi e dei mali della società, sono personaggi positivi e alla fine si ritrovano, si riconoscono tra loro…che messaggio dobbiamo ricavare da questo esito?
Non è che ci deve essere un messaggio…forse che non bisogna per forza abbandonare una certa ingenuità una certa purezza per poter vivere bene. Non bisogna diventare per forza come l’avvocato Malaffanno-Zingaretti! Credo che sia giusto che questi due personaggi, che si incontrano a metà film poi si cercano, non si trovano, si ritrovano, finiscano assieme e l’idea era proprio finire il film con l’inizio di una storia d’amore che è anche questo di buon auspicio. Questo è guardare al futuro con positività.
Come è avvenuta la scelta degli attori e quella delle voci delle statue?
Alla fine della sceneggiatura del film ho cominciato a pensare agli attori: alcuni li ho individuati abbastanza velocemente, per altri invece ho dovuto fare dei provini. La cosa più importante è stata la ricerca dei due ragazzi, i figli di Leo, perché volevo che quella famiglia fosse una famiglia credibile, vera. Non è stato molto semplice trovarli, abbiamo fatto tante prove per farli sembrare una famiglia reale. Per quanto riguarda tutto il cast, c’era l’idea di lavorare con ognuno di loro per creare dei personaggi con una connotazione precisa, per esempio il look, come quello di Alba [Rohrwacher] che appare completamente diverso dal suo, o Mastandrea con il sopracciglio bianco e l’accento napoletano, oppure l’avvocato – Zingaretti, che siamo abituati a vedere come Montalbano, qui invece appare completamente diverso con questi capelli lunghi, l’accento milanese. Sono tutti fortemente caricati, ma questo è il bello di fare una commedia. Per quanto riguarda le statue, non ho mai pensato che dovessero muovere la bocca o i volti. Ragionando molto su loro abbiamo scelto di chiamare tre attori perché non volevo che avessero delle voci da speaker televisivo privo di possibilità espressive per dargli un senso di umanità. Quindi abbiamo lavorato con il tecnico del suono, Francois Musy, col mix per dare un’impronta diversa dalle altre voci, come se venissero un po’ da dentro. Poi con Favino, Marcoré e Alberti abbiamo lavorato tutti insieme mentre si girava.
Anche la visione della morte è vista in modo favolistico con la moglie di Leo che torna la notte per parlare con il marito minimizzando sui problemi di Leo, come mai questo personaggio?
È un po’ ironico. Ci divertiva l’idea di questa persona che ha un po’ da fare lassù e che non ha tempo per queste piccolezze che avvengono sulla terra. È un po’ un modo giocoso di prendere la questione. Alla fine lei è un personaggio che è tenuto in vita dalla mente di Leo e che ad un certo punto decide che può andare via perché si vede che lui ha superato il momento.
Il comandante e la cicogna ha ricevuto una nomination come Miglior film svizzero 2013. Come hai accolto questa nomination?
È già successo altre due volte con Pane e tulipani e Cosa voglio di più, solo che non me lo hanno mai dato! Sono molto contento soprattutto per come è stato accolto a Solothurn, ho visto che è stato molto apprezzato e ha molto divertito, come è giusto che sia per una commedia. In modo particolare ha divertito il fatto che la cicogna arrivasse qui in Svizzera.
[Segue intervista a Alba Rohrwacher]
In proiezione dal 13 marzo 2013 al kult.kino atelier a Basilea e dal 14 marzo 2013, al cinema Arthouse Alba di Zurigo e al Quinnie Cinema a Berna