Era definito “The devil’s advocate” (l’avvocato del diavolo) ed aveva difeso personaggi impresentabili come Milosevic e Saddam Hussein
L’ultimo dei casi clamorosi di titoli di studio inventati è stato quello dell’aspirante premier Oscar Giannino, leader di “Fare per fermare il declino”. Ha dovuto dimettersi da candidato perché un suo collega di lista aveva scoperto e denunciato che Oscar non aveva i titoli di studio che lui vantava di avere.
Nel Paese in cui il titolo d dottore lo si dà anche ad un portiere di notte, non stupisce come siano in tanti i falsari che aprono degli studi dentistici ed esercitano la professione per decenni senza aver mai conseguito la laurea: alcuni senza mai essere scoperti, qualche altro costretto a chiudere bottega. Parliamo dei dentisti perché è una professione nella quale i bluff avvengono con la più alta percentuale di successo. In fondo, con un’iscrizione al primo anno di medicina, basta fare l’apprendista per alcuni mesi presso lo studio dello zio dentista o del dentista amico di famiglia – ovviamente con la complicità del dentista vero – e dopo aver acquisito sufficiente esperienza si può tranquillamente aprire uno studio con tanto di certificato di laurea fasullo ben incorniciato all’ingresso, magari con una sfilza di attestati di merito all’estero, rilasciati da Università in cui mai ci si è sognati di mettere piedi.
Ma le falsificazioni esistono anche in altre professioni per esercitare le quali si richiede una laurea o anche in quelle per esercitare le quali non c’è bisogno di titolo di studio o, per lo meno, nessuno è interessato a vederlo.
Il guaio è quando l’esercizio di una professione comporta l’iscrizione ad un ordine. In questo caso o uno imbroglia con la complicità di qualcun altro o s’improvvisa professionista confidando nella buona sorte. Se, però, si viene scoperti, allora sono guai, perché la sfilza di accuse è lunga.
In Gran Bretagna vive un noto avvocato di origine italiana, anche nel nome, Giovanni Di Stefano, 57 anni, figlio di emigrati molisani. Ebbene, l’avvocato Di Stefano di strada ne aveva fatta parecchia se tutti lo conoscevano come “The devil’s advocate”, l’avvocato del diavolo. Si era guadagnato sul campo quell’epiteto, perché aveva difeso personaggi famosi non proprio raccomandabili, che nessuno voleva difendere. Lui, invece, lo faceva volentieri, anche se erano cause perse. Soleva, infatti, dire: “Non esistono mai cause perse, perché il diritto di ogni uomo di difendersi è sacro”.
Dunque, l’avvocato Di Stefano cominciò ad imperversare nei tribunali di Sua maestà nel 2003, quando cominciò a prendere le difese di personaggi molto noti. Prima poteva essere considerato un avvocato di provincia, brillante, ma senza notorietà. La sua fortuna cominciò quando ebbe la fortuna di diventare il difensore nientemeno che di Saddam Hussein prima e poi del cugino di lui, Alì Hassan Al Majid, altrimenti noto come “Alì il chimico”. Difendere Saddam e suo cugino nel 2003 era come difendere un’adultera colta sul fatto in un Paese arabo. Infatti, per Saddam e suo cugino non ci fu nulla da fare, ma l’avvocato Giovanni Di Stefano si batté come un leone e la sua notorietà crebbe, al punto che negli anni successivi divenne l’avvocato difensore di Tareq Aziz, di Slobodan Milosevic, di Zeljko Raznatovic detto “Arkan”, di Robert Mugabe, il dittatore dello Zimbabwe, tutti ricercati internazionali o in prigione all’Aja. Dai politici dittatori l’avvocato Di Stefano passò a difendere i criminali come il serial killer inglese Jeremy Bamber. Se all’inizio non vinse nemmeno una causa, non era per la sua imperizia, ma per le prove schiaccianti ai danni dei suoi assistiti, indifendibili, appunto.
Nel 2011 l’avvocato Giovanni Di Stefano fu arrestato a Palma di Majorca: contro di lui vennero presentate varie denunce da parte di clienti suoi che lo accusavano di raggiri e di appropriazione indebita. In poche parole, l’avvocato Di Stefano intascava indennizzi che invece spettavano ai suoi clienti.
La settimana scorsa un giudice inglese lo ha condannato riconoscendolo colpevole di ben 25 capi d’imputazione. Se l’avvocato Di Stefano fosse vissuto nel 1600, sarebbe stato condannato alla pena capitale, siccome siamo nel 2013 si dovrà fare solo 14 anni di galera. Tra i capi d’imputazione figura quello di abuso della professione di avvocato. Giovanni Di Stefano non si era mai laureato, in tutti gli anni scorsi aveva esercitato la professione senza avere il titolo di studio. Ma a indispettire il giudice non è stato l’abuso di professione, ma di aver intascato 175 mila sterline destinate dall’assicurazione ad un suo assistito che in un incidente d’auto aveva perso un braccio. Giovanni Di Stefano, dunque, le cause le aveva anche vinte. Già nel 2003 un giudice aveva avuto qualche sospetto e gli aveva chiesto i documenti accademici. Giovanni Di Stefano – buon sangue italico non mente – aveva avuto la risposta pronta: doveva pazientare, perché un terremoto e un incendio accaduti a Campobasso avevano distrutto i registri e gli archivi presso cui erano conservati i suoi titoli di studio. Solo che non aveva fatto i conti con quel mastino di giudice, che fece indagini in segreto ed appurò che a Campobasso non c’erano stati né terremoti, né incendi.
A volte, le bugie hanno le gambe corte, ma l’ex avvocato Giovanni Di Stefano può consolarsi: a giudicare dalle cronache è in buona e molto illustre compagnia.