È appena iniziato l’anno scolastico, il secondo del ministro Mariastella Gelmini e il secondo della riforma della scuola elementare e media.
Con il 2008-2009 sono state introdotte alcune norme, già operanti, che hanno dato buoni risultati e che sono state globalmente apprezzate.
Parliamo del ritorno dei voti da uno a dieci e di quello in condotta, già esistenti nella scuola di una volta, poi aboliti in seguito all’ubriacatura sessantottesca e assembleare della scuola, e dodici mesi fa reintrodotti. Lo scopo è quello di dare sostegno e visibilità all’impegno e al merito, ma anche alla serietà, perché l’educazione è un aspetto della formazione della personalità dell’alunno. Le statistiche dicono che le bocciature sono aumentate e che sono diminuiti gli atti di bullismo.
Molta strada resta da fare, ma il percorso è tracciato: chi si comporta male, con il cinque in condotta può ripetere l’anno e chi crea danni all’edificio scolastico, paga, secondo un principio elementare in vigore dappertutto.
Con il nuovo anno vengono applicati gli altri punti della riforma della scuola: l’anticipo a due anni e mezzo per l’asilo, l’abolizione delle compresenze alle elementari e gli “aggiustamenti” del tempo pieno. Quest’ultimo, secondo le tre opzioni offerte alle famiglie: il modello delle 40 ore con due insegnanti, quello del maestro unico di riferimento con 30 ore settimanali e il terzo di 24 o 27 ore con un unico maestro.
Stando ai dati pubblicati dal ministero dell’Istruzione, quest’anno saranno 36.508 le classi che hanno scelto il tempo pieno, 2191 in più rispetto allo scorso anno, il che significa che il tempo pieno comprende 50 mila bambini in più. Altri due sono i dati importanti: il primo è che a scegliere il modello 40 ore è il 30,4% delle famiglie, quello delle 30 ore il 59,6%, mentre solo l’11% sceglie il modello delle 24 o 27 ore; il secondo è che la scelta del tempo pieno resta concentrata nelle regioni del Nord e del Centro ma per la prima volta si registra un aumento anche in quelle del Sud e delle isole. Si va dal 45,7% della Lombardia a poco più del 40% in Piemonte, Emilia Romagna, Lazio e Toscana. Il Veneto si ferma al 16,9%. Per quanto riguarda le regioni del Sud, si passa in Sicilia dal 3,8% al 6,3% e in Puglia dal 4% al 6,7%.
Ecco la dichiarazione del ministro: “Siamo riusciti a potenziare il tempo pieno. Questo dimostra come fossero sterili tutte le polemiche dell’anno passato quando qualcuno sosteneva che le famiglie sarebbero state private di questa opportunità”. Per l’ex ministro Giuseppe Fioroni sono solo “bugie”: più che di “tempo pieno si tratta di dopo scuola”.
L’introduzione del maestro unico o prevalente ha comportato una contrazione di posti di lavoro: tra coloro che sono andati in pensione (30 mila) e i 47 mila che quest’anno sarebbero stati soppressi c’è un saldo passivo di 17 mila docenti a cui non è stato rinnovato l’incarico. Questa misura da una parte era necessaria perché la scuola italiana non poteva continuare a pagare stipendi in sovrappiù, dall’altra crea difficoltà a migliaia di docenti, i quali in tutta Italia protestano con manifestazioni e marce. Da parte del ministro è stato presentato un provvedimento che allevia i disagi economici prevedendo per la maggior parte di essi l’indennità di disoccupazione.
Ancora due aspetti del tema scuola.
Il primo è che sull’ora di religione il ministro ha ribadito come “legittima la pretesa della Chiesa di mantenerne la connotazione che ha oggi” e che i docenti di religione, contrariamente alla sentenza del Tar (attualmente oggetto di appello al Consiglio di Stato su richiesta del ministro stesso) dovrebbero concorrere “come le altre materie, con pari dignità, al giudizio dello scrutinio”. Il secondo è che in due scuole, una di Roma e l’altra di Milano, gli alunni italiani sono rispettivamente tre e sei. A Roma, poi, la maggioranza degli stranieri è di religione musulmana. Si tratta di una situazione paradossale perché nei rispettivi quartieri la popolazione italiana è minoritaria o addirittura con una presenza maggioritaria di persone anziane. Tuttavia si sono verificati due fenomeni di segno opposto ma complementare: molte famiglie italiane hanno traslocato da quel quartiere in quanto “invivibile” o hanno preferito iscrivere i loro figli in altre scuole per timore che imparassero poco dato il livello generalmente più basso di conoscenza dell’italiano della maggioranza degli alunni immigrati; molte famiglie di stranieri reclamano perché in classe ci sono solo alunni stranieri, il che non facilita l’integrazione.
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