Sale la tensione dopo lo sventato complotto a Washington per uccidere l’ambasciatore dell’Arabia Saudita
In Francia le primarie per la scelta del candidato socialista che dovrà sfidare Sarkozy alle elezioni presidenziali del 2012 si sono concluse secondo le attese della vigilia: con la vittoria di François Hollande. Su di lui sono confluiti i voti sia della sua ex moglie, Ségolène Royal, che aveva raccolto un magro 7%, sia quelli di Arnaud Montebourg, meno attesi perché più a sinistra del candidato vittorioso, che tra l’altro prima del 2006 è stato Segretario generale del Ps. Esce di scena Martine Aubry, figlia di Jacques Délors, già presidente apprezzato della Commissione europea, con una sconfitta cocente in quanto era lei a guidare il partito in questi ultimi anni. Ma non è questa la notizia più importante di politica internazionale, come non lo è quella che riguarda la resistenza dei fedeli di Gheddafi sia a Tripoli, che si pensava già conquistata, che a Sirte e a Bani Walid. La resistenza ad oltranza si spiega non solo perché lo stesso Gheddafi sta incitando i suoi con la promessa di una (ormai impossibile) vittoria finale, ma perché gli insorti stanno compiendo massacri dappertutto nelle zone in cui hanno vinto, per cui persi per persi i lealisti si riorganizzano finché possono per vendere cara la pelle.Dicevamo che i fatti più rilevanti della settimana riguardano altro: in primo luogo l’offensiva politico-diplomatica degli Usa contro l’Iran, accusato di aver finanziato e organizzato un complotto – poi sventato – per uccidere l’ambasciatore dell’Arabia Saudita; in secondo luogo i risvolti che stanno dietro l’accordo tra Netanyahu e Hamas per la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit (da sei anni prigioniero di Hamas) in cambio di mille prigionieri vicini ad Hamas, detenuti per terrorismo nelle prigioni israeliane. Procediamo con ordine. Il 28 settembre all’aeroporto di New York viene arrestato un cittadino iraniano con passaporto americano, Mansor Arbabsiar, il quale aveva affidato ad una banda di narcotrafficanti il compito di far fuori l’ambasciatore dell’Arabia Saudita. Sventato il complotto, anche se permangono dubbi su tutta la vicenda, gli Usa si sono lanciati in un’offensiva diplomatica per isolare l’Iran di fronte alla comunità internazionale. Susan Rice, ambasciatrice americana presso l’Onu, ha incontrato i diplomatici dei maggiori Paesi del mondo per informarli sui pericoli rappresentati da un Iran che sullo scacchiere del Medio Oriente gioca un ruolo di sabotatore della pace e che in Occidente gioca a destabilizzare i rapporti internazionali anche con attentati. La stessa offensiva l’hanno messa in atto gli ambasciatori Usa nei vari Paesi per informare i rispettivi governi sulle medesime questioni. Esclusa la rappresaglia militare – in un primo momento non chiaramente accantonata – l’offensiva Usa mira a rafforzare le sanzioni economiche contro l’Iran, che offre sottobanco consistenti aiuti militari ai talebani in Afghanistan. Ovviamente, l’Iran ha reagito sprezzantemente all’iniziativa americana, qualificandola come un diversivo per oscurare la crisi economica e distogliere quindi l’attenzione degli americani dai loro problemi, dichiarando che gli Usa saranno costretti a chiedere scusa per le loro insinuazioni. Gli Usa hanno elementi solidi a sostegno del complotto, anche se non mancano quelli che accusano la Casa Bianca di seminare allarmismo per tentare una difficile rimonta elettorale in vista delle presidenziali di novembre 2012. E veniamo all’accordo tra Netanyahu e Hamas: a giorni saranno liberi il soldato Shalit e mille prigionieri di Hamas. Perché quest’accordo proprio ora? È il risultato di una duplice opposizione: quella di Netanyahu contro l’iniziativa unilaterale di Abu Mazen che ha chiesto all’Onu il riconoscimento dello Stato della Palestina, e quella di Hamas contro lo stesso Abu Mazen, accusato di aver escluso Hamas dall’iniziativa che porterebbe ad una Palestina in formato ridotto. Ma c’è dell’altro: avere per Hamas mille soldati per combattere Abu Mazen e il partito di Al Fatah è un vantaggio importante, lo è anche per Netanyahu, il quale, in più, sta combattendo in maniera perfida l’attuale inquilino della Casa Bianca sia preferendo all’intermediazione americana quella tedesca, sia mettendogli contro le lobbies ebraiche nella corsa alle presidenziali. Barack Obama ha cercato di spegnere le situazioni esplosive derivanti dall’iniziativa palestinese, facendo sapere che se necessario ricorrerà anche ad un veto nel Consiglio di Sicurezza, ma ciò è ritenuto strumentale dagli israeliani, i quali mettono l’accento sul fatto che Obama aveva posto come condizioni per un accordo tra le due parti il blocco dei coloni in Cisgiordania e i confini dei due Stati anteriori al 1967, due condizioni che Netanyahu ritiene inaccettabili per Israele. [email protected]