Diciamoci la verità, l’accordo a 26 di Bruxelles che fissa un percorso di unione fiscale con una verifica dei bilanci di ogni Stato membro potrà essere valutato positivamente quanto si vuole, ma per l’Europa, ed in particolare per tanti Paesi come l’Italia, si annunciano tempi duri. Intendiamoci, quando la Germania rifiuta di dare i poteri alla Bce sulla moneta comune, una qualche ragione ce l’ha: non vuole pagare il conto dei Paesi che hanno fatto le cicale e vuole che siano i Paesi interessati a regolare i loro conti con il passato. Ma così facendo, ci condanna ad una serie di manovre che dissangueranno per almeno un decennio gli italiani – e non solo gli italiani ma anche i cittadini di tanti Paesi membri che non stanno meglio di noi – senza essere certi che l’euro terrà. Franco Venturini sul Corriere della Sera ha detto che “le difficoltà sono destinate a durare”. Su Libero si mette l’accento sull’Italia che si è consegnata mani e piedi alla Merkel. Gli accenti variano, ma hanno un fondo comune: c’è il timore di non farcela. La manovra appena varata dal governo Monti è pesante per le tasche degli italiani, specie se l’anno prossimo si aggiungerà l’aumento dell’Iva, e porta alla recessione, valutata per il 2012 in una perdita dello 0,5% del Pil, ma l’impressione è che non abbia inciso sugli sprechi e sia anche poco equa. Lo dicono i fustigatori delle magagne della classe politica, Stella e Rizzo, sul maggior quotidiano italiano. Non si è toccata la pubblica amministrazione, la vera fonte del debito pubblico e soprattutto la vera palla al piede dell’Italia perché agli enormi sprechi somma una vasta inefficienza di servizi. Non si è potuto toccare, di fatto, la casta politica, che finora è uscita quasi del tutto indenne dai tagli che dovevano essere epocali e dei quali non si vede traccia, anzi deputati e senatori di tutti i partiti negano il problema. Non sembra nemmeno che le amministrazioni locali, al nord come al sud, ma specie al sud, si rendano conto che i decenni del debito pubblico in aumento sono finiti e devono finire. Se il lavoro diminuisce, se le tasche dei cittadini che bene o male racimolano tra mille e mille e cinquecento euro al mese (ma non sono tantissimi che arrivano a questi livelli) si svuotano, come si può pretendere che non ci siano ripercussioni sociali? La situazione, però, è delicata e bisogna andare avanti, anche stringendo la cinghia oltre il dovuto. Non ci sono alternative. Londra non ha firmato l’accordo perché gli inglesi non vogliono cedere quote ulteriori di sovranità e non hanno trovato “convenienza a firmare”. Gli inglesi temono l’isolamento ma, a meno che non succeda un clamoroso dietrofront, alquanto imbarazzante per Cameron, si sono avviati verso l’uscita dall’Europa, senza peraltro esservi entrati con la moneta comune. Ci si chiede se Londra sia l’unico Paese a farlo o il primo di alcuni altri, ma è evidente che non tutti possono permettersi di fare impunemente quello che Londra potrebbe fare. E allora, appunto, non resta che percorrere il tracciato segnato a Bruxelles, nella speranza che tutto vada bene. [email protected]