Non è più tanto sicuro che ci sarà un attacco di Israele ai siti iraniani dove si stanno facendo ricerche sul nucleare militare. Alcuni mesi fa, l’attacco era dato per imminente, nel giro di pochi mesi. Poi, a causa della campagna elettorale per le presidenziali Usa, Netanyhau aveva acconsentito a rinviarlo di un anno. Nel frattempo, l’Enea, l’agenzia Onu per l’energia atomica, avrebbe cercato di riaprire le trattative sul controllo dei siti per verificare se l’opzione iraniana era di tipo civile, come veniva assicurato, oppure militare, come si credeva da più parti. Su una cosa sia gli Usa che gl’israeliani erano d’accordo, sulla base delle notizie dei servizi segreti: la costruzione delle armi nucleari era a buon punto, al massimo era una questione di un anno o poco più. Si capisce perché Israele era ed è in allarme. Il presidente Mahmud Ahmadinedjad ha pubblicamente dichiarato – in interviste, nei discorsi e nelle sedi internazionali – che “Israele deve essere cancellato dalla faccia dalla Terra”. Bene, negli ultimi giorni sono spuntate novità. Mentre Netanyhau ha dichiarato in un’intervista alla Cnn che “non si può accreditare all’Iran un comportamento razionale” e che quindi sarebbe sbagliato rischiare la sicurezza mondiale lasciandolo tranquillamente sviluppare la tecnologia per il nucleare militare, quasi a smentirlo, il capo di Stato maggiore, il generale Beny Gantz, ha espresso dubbi che l’Iran alla fine decida di produrre armi nucleari, concludendo il discorso con un’affermazione che ha fatto riflettere. Ha detto, infatti, che “la leadership iraniana è composta da persone molto razionali”, dunque che lui non pensa che compiano un “errore madornale”.
E’ il gioco delle parti tra i generali e il governo oppure esiste una diversa valutazione anzi, una vera e propria frattura tra le istituzioni israeliane? Ai cittadini sono giunti due diversi messaggi: quello di Netanyhau, che è stato di tipo allarmistico, e quelle dei generali, più dialogante. Normalmente avviene il contrario: sono i politici quelli più dialoganti, mentre i militari tacciono perché al loro posto parlano le armi o, comunque, sono tenuti a eseguire le decisioni politiche. In realtà, il generale Gantz non ha escluso l’opzione militare, anzi, ha detto che pur essendo “all’ultimo posto” nelle risorse da utilizzarsi, è “al primo posto” per credibilità. Il messaggio è duplice: agli israeliani per tranquillizzarli, agli iraniani per far loro pervenire un messaggio di dialogo ma anche di fermezza. Netanyhau cerca di non abbassare la guardia su un tema reale, anche per arrivare alla fine dell’anno, quando si dovrà fare una valutazione più realistica dei pro e dei contro, anche e soprattutto alla luce dell’avanzamento o meno della trattativa tra Iran e l’Onu, ma intanto si fa avanti un’altra idea, sostenuta da alcuni autorevoli commentatori internazionali: come al tempo della guerra fredda sia gli Usa che l’Urss erano “paralizzati” dai loro rispettivi arsenali (attaccare significare essere attaccati, quindi ci sarebbe stata una distruzione totale), così l’Iran potrebbe ripensare le minacce perché in caso di attacco la ritorsione nucleare sarebbe automatica e quindi ci sarebbe l’inferno in Medio Oriente. A che pro cercare di distruggere per essere distrutto? E’ questo il filo di speranza che tiene vivo il dialogo e allontana scenari infernali: un filo sottile, ma con buone possibilità di essere il filo d’Arianna dell’uscita dal labirinto della catastrofe.
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