“Honour bound”, il libro di Raffaele Sollecito sul delitto Meredith Kercher e sull’incubo suo e di Amanda Knox dei quattro anni di prigione da innocenti
Si torna a parlare di Raffaele Sollecito e Amanda Knox, ma non (o non ancora) come imputati nel processo di Cassazione, che si celebrerà il 25 marzo, ma come scrittori. Per coloro che l’avessero dimenticato, i due furono condannati in primo grado a 26 e 25 anni di carcere per l’omicidio della studentessa inglese a Perugia, Meredith (Mez) Kercher, trovata uccisa nella camera dove abitava la mattina del primo novembre del 2007. Il 13 novembre del 2011, al processo di appello, sono stati assolti per non aver commesso il fatto. Nessuna prova è stata trovata a loro carico e quelle che furono loro addebitate sono state clamorosamente ritenute false dagli esperti nominati dal tribunale. In poche parole, non c’entravano nulla con il delitto.
Dunque, dicevamo che si riparla di loro come scrittori. Usciti dal carcere dopo quattro lunghi anni, pieni di incubi e incuranti del processo di Cassazione, che sicuramente confermerà l’assoluzione, visto che non ci sono prove del loro coinvolgimento, i due hanno deciso di raccontare il loro incubo in due libri diversi, il cui ricavato, presumiamo, servirà a pagare le spese processuali e a risarcirli del danno ricevuto. I due, ora, anzi, da tempo, non sono più i fidanzatini di una volta. Si sono lasciati dopo alcuni mesi dalla loro entrata nel carcere, anche perché non hanno potuto più vedersi se non nelle udienze del processo. Lo stesso Sollecito, dopo l’assoluzione e la conquista della libertà, ha riconosciuto che le loro strade sentimentali si erano divise, che restava l’amicizia, ma che non erano più innamorati l’uno dell’altra e viceversa.
Il più veloce è stato lui, Raffaele, che negli Stati Uniti ha pubblicato un libro, intitolato “Honour bound” (Legati dall’onore), a carattere autobiografico, in riferimento alle vicende che lo hanno coinvolto. Seguirà Amanda, con un altro libro che uscirà in primavera.
Cosa dice Raffaele Sollecito? Dice una cosa molto semplice, tra l’altro detta e ridetta nel corso del processo di primo e di secondo grado. Quando veniva uccisa Meredith – che abitava in una stanza all’interno dello stesso casolare dove, in un’altra stanza, abitava pure Amanda Knox – loro, Amanda e Raffaele, si trovavano nella casa di lui, non lontano dal luogo del delitto, ma intenti unicamente a fare l’amore e a fumare cannabis. Tutta qui la pura verità. Nulla a che fare col delitto. La povera Meredith veniva uccisa senza che loro sapessero quello che le stava accadendo. Tra l’altro, sulla stampa si era parlato di più colpevoli, in realtà la giustizia un colpevole l’ha trovato, l’ivoriano Ruedi Guedé, e l’ha condannato in via definitiva, dopo che era fuggito in Germania dopo il delitto e dopo che a suo carico sono state trovate prove inconfutabili, come il suo sperma sul corpo della ragazza che di lui non ne voleva sapere. Sollecito, nel suo libro, parla anche degli atteggiamenti “strani e bizzarri” di Amanda e suoi in questura, prima di essere interrogati, e prima ancora, in un negozio di biancheria intima. Loro, per la verità, l’avevano sempre detto, ma non erano stati creduti. Quegli atteggiamenti “strani e bizzarri” si spiegavano con l’euforia degli spinelli fumati e anche con quella della loro passione. Si erano conosciuti una settimana prima ad un concerto di musica e subito scoppiò il loro amore.
“Honour bound”, dunque, non rivela nulla di inedito, solo la pura verità, quella che non è mai stata ritenuta tale da “imprecisioni” e da “errori” commessi dagli inquirenti e fatti passare per prove solo perché loro non avevano un alibi che potesse essere confermato da terzi. L’altro aspetto trattato nel libro è proprio questo: l’assurdità di essere incolpati senza prove, di essere stati in prigione senza uno straccio di indizio e di esserci dovuti rimanere per ben quattro anni, gli anni tra i venti e i ventiquattro, prima che la verità venisse a galla. Il racconto si snoda attraverso la progressiva discesa nell’incubo di dover passare tutta la vita in prigione senza aver fatto nulla, fino al momento dell’esplosione della gioia per la libertà riconquistata e per l’innocenza riconosciuta la sera del 13 novembre del 2001, giorno della sentenza di secondo grado.