Ucciso in Siria da un cecchino degli oppositori il giornalista iraniano Maya Nasser ma la situazione non cambia
In queste ultime settimane si è parlato poco o per nulla della guerra civile in Siria e il motivo è semplicemente perché la cronaca delle proteste arabe contro il video carbonaro prodotto in America e creato da un egiziano colà trapiantato ha oscurato le violenze e il sangue delle opposte fazioni. In realtà, le armi continuano a farsi sentire, anzi, sono gli strumenti di morte che hanno provocato circa 30 mila vittime dall’inizio delle proteste.
Ultima, illustre, è quella di un giornalista dell’emittente iraniana Press tv, Maya Nasser, 34 anni, cristiano, in missione a Damasco, freddato in strada da un colpo di arma da fuoco sparato da un cecchino, in forze tra gli oppositori. Si vede che la guerra civile non guarda in faccia a nessuno. I giornalisti stranieri ammazzati superano ormai le venti unità. Quando si ammazzano giornalisti o civili vuol dire che la guerra è ancora più crudele e soprattutto non è una guerra con motivazioni, seppure in negativo di uno contro l’altro, ma una guerra per la guerra e basta, compiuta in nome dell’odio. Hanno ragione coloro che dicono – e sono tantissimi, ormai – che la guerra si sarebbe potuta evitare, che chi aveva messo in guardia contro la guerra aveva mille ragioni e ciò che si sta verificando ne è la controprova. Maya Nasser, abbiamo detto, era cristiano, uno dei pochi cristiani in Iran e negli altri Paesi del Medio Oriente. Aveva simpatie per Assad, più che altro perché sapeva che gli oppositori sono forse peggiori di lui. Il destino ha voluto che fosse colpito proprio da uno dei ribelli. Di questo giornalista si ricorda una sua frase: “Non è nostro compito proteggere la religione dalle grinfie dello Stato, ma è nostro compito proteggere lo Stato dalle grinfie del radicalismo religioso”.
Ritornando alla Siria, l’intervento armato della comunità internazionale si sta sgonfiando, perché ad opporvisi sono in troppi. Non solo la Russia, non solo la Cina, in fondo anche l’Egitto, per le evidenti ripercussioni internazionali, sono contro l’intervento. Il presidente Morsi a New York, in occasione dell’Assemblea generale delle nazioni Unite, ha detto che bisogna favorire il processo democratico in Siria, ma ha tenuto a precisare che è contrario all’intervento militare. Meglio sarebbe, dice Morsi, che la democrazia venisse conquistata dagli stessi protagonisti, ma senza lotta armata e soprattutto senza fanatismo.
All’Assemblea generale dell’Onu ha preso parte anche Mahmoud Ahmadinejad. Era il suo ultimo appuntamento con l’Onu, perché agli inizi dl 2013 lascerà l’incarico di presidente che ha ricoperto per otto anni, dal 2004 al 2012. Il discorso dell’addio è stato meno duro del solito. Se l’è presa con gli “incivili” sionisti ma tutto sommato è stato più politico che polemico. Ha parlato della crisi mondiale dicendo che coloro che vogliono fare i primi della classe sono proprio quelli che in questo tempo a causa della crisi boccheggiano. Ha detto: “La Ue è sull’orlo del collasso, pongono sanzioni a noi, ma in realtà la loro economia, come quella dell’America, è messa peggio della nostra”. Tuttavia, il presidente iraniano Ahmadinejad non ha mancato di sottolineare che è loro sacrosanto diritto darsi da fare per il nucleare civile. Inoltre, ha messo in guardia Israele qualora voglia perdere la testa e attaccare l’Iran, ma le armi polemiche sono state spuntate dal fatto che fra qualche mese Mahmoud Ahmadinejad dovrà tirare i remi in barca: ha deciso di non ricandidarsi anche perché non lo avrebbero più votato. Il suo posto probabilmente verrà preso da un “islamico moderato” come il sindaco di Teheran, Mohammed Ghalibab. Gli ayatollah, se venisse confermata l’elezione di Mohammed Ghalibab, vogliono evidentemente giocare la carta della moderazione dopo molti anni di durezza impersonata proprio da Mahmud Ahmadinejad.
Per ora, dunque, seppure con toni meno duri e sprezzanti, il presidente smette i panni dell’avvoltoio per indossare quelli del dialogo, seppure si tratti solo di un aspetto formale, ma sono in pochi a credergli. Di un fatto bisogna dargli atto: Mahmoud Ahmadinejad tornerà ai suoi studi e lascerà definitivamente la politica. Dopo tanto clamore internazionale, un po’ di silenzio non guasta.