Alcuni giornalisti italiani sono andati a Cuba ad intervistare Laborde Reiver, il fratello di Lisandra Aguila Rico, la quale, insieme a lui, ha ucciso la coppia di anziani a Lignano, e sono stati arrestati dalla polizia del regime. A Cuba, al posto di arrestare un assassino, hanno arrestato coloro che andavano a fare il loro lavoro. Passano alcuni giorni e viene arrestata la blogger Yoani Sànchez, collaboratrice de La Stampa e giornalista freelance per il giornale spagnolo El Paìs. Dopo ben 53 anni di dittatura a Cuba si continua a mettere in prigione i dissidenti. Un record. Un piccolo Paese di circa 11 milioni di abitanti dopo tanti decenni non riesce a risolvere i problemi alimentari della gente, in compenso spende soldi per le prigioni e per il controllo capillare del territorio e dei cittadini. Peggio di Cuba ha fatto solo l’ex Urss, che ha dominato per settant’anni 250 interi popoli, uccidendo, nel corso della sua storia, circa 100 milioni di persone.
Anche se alle nostre latitudini può sembrare strano, i Paesi dove vige la libertà sono numericamente di molto inferiori a quelli dove la libertà non esiste. A parte i Paesi di cultura occidentale (anche se si trovano a Oriente, come l’Australia, o in Medio Oriente come Israele), tutti gli altri, ad Est come in Africa, compresi quelli a cultura musulmana, hanno uno strano concetto della libertà e della democrazia.
Nel corso della storia del secolo scorso, anche l’Europa ha conosciuto i regimi dittatoriali, quelli nazifascista e quelli comunisti. Ambedue i regimi erano in disaccordo su tutto, ma su una cosa – nella negazione della libertà – si comportavano esattamente allo stesso modo. Oggi i regimi nazifascisti, anche se con nomi diversi, esistono in vari Stati africani; quelli comunisti, avendo una maggiore capacità organizzativa e di controllo, dominano ancora più di un miliardo di persone: Cina e Corea del Nord sono le più note dittature rosse, peraltro molto longeve. Per non parlare dei Paesi musulmani, dove il concetto di libertà e di democrazia, come noi occidentali le concepiamo, è completamente sconosciuto.
Gli uomini hanno esplorato il mondo, sono andati nello spazio, sono stati capaci di fare progressi tecnologici fino a qualche decennio fa inimmaginabili, ma pochi sono quelli che non si lasciano incantare dall’istinto alla prevaricazione e alla prepotenza. Chi, nei rapporti con gli altri, usa la ragione, ascolta, valuta, esprime civilmente il proprio punto di vista, concede cittadinanza anche a quelli degli altri, perché sa che nessuno ha la verità in tasca e tutti possono averne una porzione, ebbene costoro, nella definizione di civiltà, rappresentano uno spartiacque rispetto all’inciviltà.
Nel Settecento, nel secolo dei Lumi, Voltaire disse (o quantomeno gli viene attribuito): “Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. Nei giorni scorsi, il presidente degli Stati Uniti, intervenendo all’Assemblea delle Nazioni Unite, ha detto: “Come presidente Usa io accetto che la gente dica di me cose tremende. E difenderò sempre il loro diritto di farlo. Sappiamo che, se cominciamo a porre limiti alla libertà d’espressione, questi possono facilmente diventare armi per far tacere chi critica, per opprimere le minoranze”. Ed ha aggiunto: “Nell’era della comunicazione digitale quella del controllo delle informazioni è un’idea obsoleta”.
Per la maggioranza delle singole persone, dei governi e dei Paesi del mondo questi concetti semplici e chiari non sembrano essere né capiti, né praticati.