Dal 29 aprile al 3 maggio andrà in onda uno spettacolo che non si sa come qualificare. Il titolo è “Live below the line”, cioè “vivi sotto la soglia”. La soglia è quella di un dollaro e mezzo al giorno, con cui in media vivono più di un miliardo e mezzo di persone in molte zone del pianeta, specie in tanti Paesi africani. Il fatto positivo è che si tratta di un’iniziativa per alleviare, con i fondi raccolti, le condizioni di milioni di persone, almeno teoricamente. Quello negativo, anzi, quelli negativi sono che dopo i bambini maltrattati, gl’invalidi di guerra, le donne stuprate, eccetera, anche la povertà diventa uno spettacolo. L’altro lato negativo – per limitarci solo ad un paio – è che una campagna del genere si regge sui testimonial, cantanti, attori e attrici, gente di spettacolo che a fare le promozioni ci guadagnano in cachet o in ritorni d’immagine. Insomma, c’è la povertà vera, silenziosa, triste, la povertà dei poveri, e quella dei ricchi, la povertà per finta, limitata a cinque giorni, per di più virtuali.
Nel 2012 hanno partecipato in 15 mila, i fondi raccolti sono stati 3 milioni; quest’anno si spera che la partecipazione sia di almeno 5 mila in più, cioè un milione in più. Certamente è una buona iniziativa, né si può dire il contrario. Come si fa a dire che non è una buona iniziativa quella per cui si raccolgono fondi per aiutare chi ha più bisogno? Solo uno che è cattivo per nascita e per professione potrebbe azzardare a dire il contrario. Da quello che abbiamo capito, vivendo per 5 giorni con un dollaro e mezzo, si regala l’eccedente alla giusta causa. Fin qui, se fosse vero, nulla di male. Ma è veramente così? L’attore e regista Ben Affleck, premio Oscar per Argo devolverà davvero l’eccedente alla causa della fame nel mondo? E prima di ogni cosa: chi lo controllerà mentre vive solo con quello che si può comprare con un dollaro e mezzo al giorno? Ad occhio e croce con un dollaro e mezzo si riesce a comprare un cioccolatino da 50 grammi. Davvero gente come lui o come Hugh Jackman, l’attore australiano di X-men”, o come la bella Sophia Bush, gente cioè abituata al lusso, vivranno con mezzo chilo di pane, compreso un bicchiere d’acqua rimediata alla fontana pubblica? Un qualche dubbio ce l’abbiamo. Magari lo farà tanta gente comune, magari offrirà un obolo, ma dubitiamo che si viva per davvero con quanto si compra con un dollaro e mezzo al giorno per cinque giorni. Ecco la prima ipocrisia. La seconda è presto detta. Si dice che i testimonial e gli altri volti noti dello spettacolo rinunciano al cachet, ma in genere è solo quel che si dice, quel che si fa è altra cosa. Del ritorno d’immagine abbiamo già parlato. La terza ipocrisia è rappresentata dalla differenza tra ciò che si raccoglie e ciò che arriva a destinazione. In genere, i due terzi dei fondi raccolti non partono nemmeno, restano per pagare personale, strutture e organizzazione, il restante terzo parte ma non si sa dove si ferma e quanto arriva per davvero a destinazione. Purtroppo lo dicono i bilanci ufficiali e soprattutto quelli ufficiosi delle varie organizzazioni di solidarietà, al punto che anche recentemente si è parlato di “industria della solidarietà”. Intendiamoci: anche se a destinazione giunge qualcosa, è sempre meglio di niente. Lo dicono le missioni di laici e religiosi, quelle che operano sul posto: con questo sistema i poveri non fanno progressi, si rischia solo di aiutare la proliferazione del sottobosco d’interessi particolari.
Ed allora? La fame, la miseria, l’arretratezza si superano con i progetti, gl’investimenti, le realizzazioni di infrastrutture sul posto; con la formazione, le scuole, le attrezzature, i mezzi, e tutto ciò che concorre a farli funzionare; con i piani nazionali e internazionali coordinati mirati e di lungo respiro. E’ stato dimostrato anche che laddove sono stati fatti piani precisi, seguiti e realizzati, i risultati sono stati ottenuti.
Altrimenti tutto si riduce, appunto, ad uno spettacolo, bello quanto si vuole, ma pur sempre solo uno spettacolo utile al massimo per pacificare a buon mercato la propria coscienza.