Il patto punterebbe sulla durata del governo Letta con le riforme istituzionali necessarie e l’inversione di tendenza rispetto alla crisi economica e sulla conquista del partito da parte di Renzi che si candiderebbe premier al “prossimo turno”
E’ ancora Matteo Renzi al centro del dibattito nel Pd. Le ultime voci danno per assodato il tandem Letta-Renzi, e ciò malgrado Renzi abbia punzecchiato il governo sulla necessità di fare le riforme senza porre indugi. Quello delle riforme sembra essere un tema attualissimo, visto che il governo ha già approvato il ddl che istituisce la Commissione dei 40 parlamentari che, insieme ai 35 esperti già nominati, più sette tecnici, si occuperà della riforma con la fissazione dei tempi intermedi e finali – entro ottobre del 2014 – entro cui dovrà essere approvata.
Il tandem, dunque. A spingere per il duo Letta-Renzi, il primo al governo e il secondo al Partito, sono stati i due diretti interessati e le loro rispettive convenienze, nel recente vertice tra i due a Firenze. Letta ha dichiarato negli ultimi tempi che il governo durerà tutta la legislatura e che le riforme dovranno essere fatte per il bene dell’Italia, in primo luogo la priorità sul lavoro e sulla crescita economica. Non c’è alternativa a questo governo, dice Letta, se fallisse sarebbe un disastro, non tanto per lui quanto per il Paese. Letta sa che Renzi è un amico e che, a parte il conflitto storico tra Firenze e Pisa, i due si stimano, che mai gli metterebbe il bastone tra le ruote; Renzi, d’altra parte, l’ha assicurato più volte e in più occasioni, che non ha nessuna intenzione di ostacolare Letta e che è suo interesse che l’attuale premier giunga fino alla fine della legislatura o quanto meno il più lontano possibile.
A Renzi, infatti, non interessa il governo, almeno per ora; non potrebbe rimpiazzare Letta e qualora questi cadesse, non avrebbe senso. A Renzi interessa gestire il partito per cambiarlo, ecco perché vuole diventare segretario al prossimo congresso fissato in autunno o comunque prima della fine dell’anno. Diventare segretario dopo un lungo ed approfondito dibattito congressuale significherebbe aver cambiato il partito stesso. Con le primarie, poi, non solo consoliderebbe la sua leadership, ma la rafforzerebbe, sempre a condizione che le regole approvate saranno di apertura verso la società civile, cioè verso anche i non iscritti. Renzi, infatti, è il fautore di un partito rinnovato, se venisse eletto con le regole imposte da Bersani, non sarebbe soiddisfatto, perché sarebbe un leader dimezzato e sotto custodia, in balia dei capi corrente.
Dunque, per ora è stata annunciata la prospettiva, ma la strada non è senza difficoltà. In realtà, ad opporsi all’ascesa di Renzi non c’è l’ostacolo frapposto da molti, quello della compatibilità tra l’essere sindaco e segretario di partito, c’è soprattutto l’ostilità degli avversari politici che hanno una diversa concezione del partito. Per quanto si sforzi di frapporre distanze tra il Pd renziano e il Pdl berlusconiano, Renzi viene identificato dagli avversari nel suo stesso partito come un’altra faccia del berlusconismo. Contro Renzi, per altri e differenti motivi, ci sono Civati, che ricerca il dialogo con il M5S; ci sono Dario Franceschini, perché pur provenendo tutti e due dalla Dc con Renzi Franceschini non avrebbe grandi opportunità; ci sono anche Bersani e gran parte dei bersaniani, che non hanno ancora digerito le sue critiche e la sua polemica sulla rottamazione; ci sono Beppe Fioroni e Rosi Binti e probabilmente parte dei dalemiani, se non tutti; ci sono, infine, tutti quelli che vogliono un Pd ben collocato a sinistra e nettamente alternativo al Pdl, tanto per intenderci Fabrizio Barca e l’ala filo-comunista.
Se sono in molti ad aver accettato Renzi come futuro leader di partito che sarà destinato poi a presentarsi come candidato premier alle prossime elezioni, sono altrettanti quelli che lo ostacolano, per cui si potrebbe avverare l’ipotesi fatta nei mesi scorsi in base alla quale dal Pd si staccherebbe la fascia, abbastanza ampia che s’identifica con un partito ben collocato a sinistra e che raccolga la diaspora di sinistra, travolta alle penultime e anche alle ultime elezioni (Rifondazione di Ferrero e Comunisti Italiani di Rizzo. Con un’ulteriore difficoltà: Renzi l’innovatore guadagnerebbe voti a destra ma perderebbe a sinistra senza però fare un’alleanza con la sinistra stessa in quanto espressione di interessi ideologici e di pregiudizi politici.
Ecco perché Renzi ha sempre precisato che lui sarà disponibile alla leadership prima e alla premiership poi a condizione che il Pd voglia cambiare, che voglia cioè rinunciare ad essere una costellazione di potentati per diventare un partiti vivo, dialettico al suo interno ma sostanzialmente unitario e innovativo. L’altro rischio, per Renzi, non sarebbe tanto Epifani, che ha già detto che non si presenterà come segretario al congresso, quanto Chiamparino, che gode di buona reputazione tra molti gruppi interni al Pd e che potrebbe essere il punto di equilibrio di tutti gli oppositori di Renzi e anche di parte dei suoi amici. Insomma, Renzi è l’uomo del futuro, l’uomo del prossimo turno, ma dovrà guadagnarselo questo ruolo con tutte le sue forze.