Alla fine Barack Obama, sostenendo come egli fa il generale Al Sisi, autore del “golpe” contro il presidente egiziano dei Fratelli Musulmani eletto un anno fa, si sta collocando nella pura tradizione americana, che in tutta quella vasta regione che va dal Nord Africa al Medio Oriente e altrove non ha esitato ad allearsi con i despoti pur di salvaguardare gli interessi americani. Non solo. Anche Obama non ha esitato due anni fa a scaricare l’ex uomo forte egiziano Mubarack quando questi ha abusato della forza nei confronti dei manifestanti rifiutando le varie sollecitazioni americane a fare le riforme. Era già successo in passato con Saddam Hussein, prima amico e poi nemico.
La politica di Bush di esportare la democrazia in Iraq ha ricevuto una sonora sconfitta. Nella stragrande maggioranza dei Paesi musulmani la democrazia di tipo occidentale non esiste e la storia ha finora dimostrato che non è facile esportarla. Dopo anni di presenza americana e di occupazione del territorio, l’Iraq si trova come prima, se non peggio.(in Afghanistan non sarà diverso). Obama ci ha provato soffiando sulla protesta popolare contro Mubarack, ma il risultato è che le manifestazioni contro Mubarack hanno portato al potere i Fratelli Musulmani, cioè gli islamici intransigenti peggiori di Mubarack.
Ora il presidente americano si trova a dover sostenere un generale che si oppone agli islamisti, lui che è devoto e laico insieme, ma pur sempre un militare che ha operato un golpe (Morsi comunque era stato eletto democraticamente) e che sta facendo una carneficina, anche se forse sta evitando il peggio. Se, infatti, Al Sisi non avesse usato il pugno duro, la determinazione e la ferocia dei Fratelli musulmani che si ritengono defraudati del potere avrebbe magari fatto già precipitare l’Egitto in una sanguinosa guerra civile, comunque sempre possibile. Obama, d’altra parte, non può fare altrimenti, perché se difende i Fratelli Musulmani deposti rischia di essere tacciato di difensore del partito islamista che ha una fascia politica ma anche militare. Sostenendo il generale Al Sisi e il suo pugno duro, in fondo, sceglie la prospettiva meno peggio e nello stesso tempo tiene lontana la Russia dall’Egitto. Putin, si sa, ne approfitterebbe per acciuffare un ruolo importante in Medio Oriente.
Vogliamo dire che il rapporto con l’Islam ha portato al fallimento della politica di Bush, ma anche a quella di Obama. Il 4 giugno del 2009 Obama tenne un discorso all’Università del Cairo, in cui lanciò un messaggio di dialogo e di conoscenza reciproca. Ebbene, quel messaggio non è stato raccolto, dal mondo musulmano non c’è stata risposta, i problemi si sono aggravati. Per dirla con Putin, chi potrebbe affermare che oggi in Libia, in Tunisia e in Egitto si sta meglio di prima? In realtà, autoritarismo e miseria sono i tratti caratteristici tanto dei vecchi regimi quanto dei nuovi despoti, con l’aggravante che ora questi Paesi sono ridotti ad un cumulo di macerie e gli odi e i rancori sono tanti e tali da condizionare la vita di tutti per i prossimi decenni. Tanto valeva insistere sulla necessità delle riforme con i vecchi despoti, sapendo che i progressi democratici più reali e profondi sono quelli più sofferti, quelli cioè che vengono conquistati con il sudore delle sfide, dei sacrifici, dell’impegno personale e collettivo. Ma c’è da dire ancora che tra il mondo occidentale e quello musulmano troppe sono le distanze ideologiche, culturali, religiose, c’è un’incomunicabilità di fondo, soprattutto da parte dell’Islam, allo stato attuale incompatibile con la laicità, dunque anche con la democrazia. Questa incompatibilità, che non vuol dire rinuncia al dialogo, significa che se la devono rivedere da soli, anche perché ogni volta che l’Occidente interviene militarmente in genere provoca solo danni.