A fine agosto il nodo politico sull’abolizione dell’Imu, ma a settembre sarà il voto sulla decadenza di Berlusconi a rappresentare un pericolo per la stabilità
Enrico Letta ostenta sicurezza e dal meeting di Rimini difende le larghe intese e critica i “professionisti del conflitto” a destra e a sinistra. Finora il leader del Pdl, condannato con sentenza definitiva a 4 anni, gli ha ribadito la fiducia, ma fino a quando? Alla ripresa dei lavori parlamentari i nodi verranno al pettine, e non si tratta solo di accordi sul programma, in particolare sull’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Su questo punto, il governo ha rinviato la decisione, appunto alla fine di agosto, quando dovrà scegliere con un provvedimento preciso. A questo proposito, più voci si sono levate alla fine di giugno, anche all’interno del Pd, a favore dell’abolizione sulla prima casa, anche se si renderà necessario accorparla con quella sui rifiuti. Ma, oltre al rispetto degli accordi sul programma, è evidente che gli ostacoli sono rappresentati dal voto sulla decadenza di Berlusconi da senatore.
Esponenti di primo piano del Pdl hanno detto nel recente passato che non sarebbe stato il Pdl a far cadere il governo, ma lo stesso Pd, ma alla luce della recente sentenza di condanna di Berlusconi, quest’ipotesi non poggia su solide fondamenta. La lotta congressuale nel Pd è acerrima, Renzi verrà ostacolato in ogni modo, al punto che lui stesso ultimamente si è domandato se non valga la pena di restarsene a Firenze da sindaco; probabilmente il “rassemblement” anti Renzi la spunterà, ma da qui al congresso Enrico Letta non ha nulla da temere dal Pd, se non altro perché è riuscito a far passare l’idea di una mozione congressuale di sostegno al suo governo che è, comunque lo si voglia giudicare, il governo guidato da un autorevole esponente del Pd stesso.
Chi potrà farlo cadere, dunque, sarà il Pdl, e la ragione è nota. Il 9 settembre la Commissione del Senato per le immunità dovrà affrontare l’argomento votando una scelta non definitiva, che solo l’Assemblea potrà fare entro un paio di mesi, tra ottobre e novembre. Cosa faranno i senatori Pd? L’orientamento prevalente è che voteranno per la decadenza, molti, tra cui Felice Casson, ex pm, l’hanno già annunciato. Se così sarà, se cioè anche in Assemblea i senatori Pd voteranno per la decadenza, cosa succederà? La risposta del Pdl c’è stata qualche giorno fa: un minuto dopo i ministri Pdl si dimetteranno, aprendo ufficialmente la crisi. C’è chi dice che si tratta più che altro di una minaccia tattica, per convincere una parte dei senatori Pd a votare contro la decadenza nel segreto dell’urna.
Non possiamo prevedere cosa succederà, perché la questione è giuridica e politica nello stesso tempo e sia il Pd che il Pdl lo sanno bene, ma ciascuno tira acqua al proprio mulino. Il Pdl insiste sul fatto politico e chiede che il Pd voti contro la decadenza sia perché il voto del Senato può contraddire anche la legge che tra l’altro è di non univoca interpretazione, sia perché il Pdl non potrebbe accettare di continuare ad essere alleato di governo con un partito che gli ha fatto decadere il leader.
Il Pd, dal canto suo, di fronte ad una sentenza definitiva, nell’ipotesi più benevola, non può che applicare la legge: la condanna a più di due anni comporta, secondo la legge Severino del 2012 (approvata da tutti, anche dal Pdl) la decadenza, tanto più che Berlusconi, non chiedendo la grazia, lega le mani allo stesso Napolitano.
Ora, qui si apre un conflitto d’interpretazione della legge tra gli stessi giuristi. C’è chi dice che la legge Severino non si applica a reati commessi prima della data dell’approvazione della legge; c’è chi dice che non è la data dei reati a far testo, ma la sentenza, che è intervenuta dopo l’approvazione della legge, quindi la legge viene prima e la sentenza dopo, dunque la legge Severino sulla incandidabilità deve eseguire la sentenza, che è criticabile, come hanno detto in tanti, ma deve essere comunque applicata. Dunque, dicono i più disponibili del Pd, con tutta la buona volontà possibile non si può non applicarla a meno di far torto al principio di uguaglianza. D’altra parte, il Pdl sa bene che solo in presenza di un errore nelle motivazioni la sentenza potrebbe essere soggetta ad annullamento con rinvio ad un nuovo processo, ancorché bisogna dimostrare la fondatezza dell’errore.
Quando Napolitano accettò di ricandidarsi lo fece perché non poteva sottrarsi ad un’assunzione di responsabilità, quell’assunzione di responsabilità, però, che lui richiese anche ai partiti che lo votarono, come ha sottolineato in un’intervista Emanuele Maccaluso. Berlusconi, dunque, pur reclamando la sua innocenza (è suo diritto) farebbe bene ad applicare la sentenza, magari scegliendo gli arresti domiciliari ed espiando la pena, e nello stesso tempo, proprio in base all’assunzione di responsabilità nei confronti del Paese, continuare ad assicurare l’appoggio al governo reclamando la realizzazione del programma concordato. Solo così anche un domani potrebbe ritornare sulla scena a testa alta. Un anno di arresti passa subito, nel frattempo, come dice Macaluso, potrebbe favorire il ricambio della leadership nel centrodestra. Ma siamo sicuri che non accadrà nulla di tutto questo.
Se, dunque, ci saranno forzature politiche e procedurali sull’”agibilità politica”, cadrebbe sì il governo ma trascinando nel caos il centrodestra e anche il Paese: un bel capolavoro per chi ha sempre detto e anche negli ultimi tempi ribadito che le sue vicende personali non dovevano condizionare quelle del governo.