I carabinieri che entrarono nella casa di Chiara Poggi commisero una serie di errori madornali che hanno cancellato le impronte del vero assassino
Il 13 agosto di sei anni fa, tra le 9.15 e le 9.30 nella villa dei genitori a Garlasco veniva uccisa barbaramente Chiara Poggi, 26 anni. Da allora ci sono stati tre processi: nei primi due l’unico imputato, il fidanzato Alberto Stasi, allora 29enne, è stato assolto, nel terzo, quello della Cassazione, il processo d’appello è stato annullato, dunque si deve rifare, cosa che avverrà prossimamente.
Nel frattempo, sono spuntate a suo favore altre testimonianze di gente che quella mattina verso quell’ora ha visto una bella ragazza in bicicletta provenire proprio dalla casa di Chiara. La bicicletta era simile a quella notata parcheggiata davanti casa Poggi nell’ora del delitto. La guidatrice procedeva a zig-zag, per il semplice motivo che trasportava una specie di paletto di ferro sormontato da un pigna in metallo. Insomma, la possibile arma del delitto. In poche parole, la bicicletta di Alberto e quella della madre, che secondo l’accusa potrebbero essere state usate dal ragazzo per andare ad uccidere la fidanzata, non corrisponde a quella vista dai testimoni che quella mattina hanno notato la ragazza in questione.
Nelle settimane scorse abbiamo dato conto di tutto questo. Ora, di nuovo c’è che stanno emergendo con maggiore chiarezza e gravità gli errori commessi dagli investigatori e che probabilmente non faranno mai scoprire chi è il vero assassino della ragazza.
Vediamoli, questi errori, e capiremo perché la verità si allontana. Il primo furono le impronte lasciate sulla porta proprio dagli inquirenti quando fecero il sopralluogo. Alberto Stasi chiamò i carabinieri alle 13 e 50, dopo aver scoperto il cadavere della sua ragazza. Poco dopo gli agenti entrarono in casa attraverso la porta socchiusa. Dopo di allora, ci fu un via-vai di carabinieri. Alcuni, però, toccarono proprio la porta a mani nude, cancellando le tracce lasciate da chi aveva ucciso la ragazza e lasciando le proprie. Sono gli agenti dei Ris che lo dicono. Sulla porta c’è un palmo di mano destra, appartenente ad un carabiniere. Lì vicino, c’è l’impronta di un anulare destro, anch’esso di un carabiniere. Il secondo errore riguarda il portavaso di metallo. Quando infatti i carabinieri entrano in casa scoprono per terra un paio di pantofole bianche, un portavaso rovesciato in metallo e il suo sottovaso a forma di ciotola. I carabinieri lo mettono in un sacco nero e lo portano in laboratorio. Il guaio è che solo in laboratorio si accorgono che al suo interno c’erano dei capelli, dunque chi lo aveva preso, aveva manomesso involontariamente tutte le impronte.
Il terzo errore sono le impronte sulle scale. Quando entrano in casa, i carabinieri vedono il corpo di Chiara sulle scale che portano alla cantina. La ragazza ha la testa appoggiata al muro e i piedi verso l’ingresso: segno che era stata trascinata lì. Ebbene, i Ris trovano parecchie impronte sul luogo del delitto, ma incredibilmente 5 impronte appartengono ad un carabiniere di Vigevano, solo che queste ultime hanno irrimediabilmente rovinato quelle dell’assassino.
Quarto errore: il peso di Chiara. Il medico legale che fa l’autopsia del corpo di Chiara non pesa la ragazza, dicendo che non aveva trovato una bilancia adatta. La pesa “ad occhio”, circa 45-50 kg. Per fare un’autopsia valida e valutare anche l’ora del delitto, ci vogliono peso e temperatura corporea. All’inizio, infatti, l’orario del delitto si rivelò completamente sbagliato, per cui anche le indagini furono orientate male. Fu necessario riesumare il cadavere della ragazza il giorno dopo il funerale.
Quinto errore: la manomissione del computer di Stasi. Il ragazzo sostenne fin dall’inizio di aver passato tutta la mattinata a lavorare alla sua tesi di laurea, tanto è vero che consegnò lui stesso il suo computer agli inquirenti. Costoro, però, nell’aprirlo, involontariamente ne danneggiarono il contenuto. Gli esperti incaricati dal tribunale rivelarono 49 mila documenti manomessi su 89 mila, danneggiati a tal punto che i sospetti caddero sul ragazzo che invece aveva detto la verità. Due anni dopo, infatti, gli esperti ripristinarono tutti i documenti danneggiati, facendo emergere che Alberto aveva detto sempre la verità.
In conclusione, la leggerezza degl’inquirenti ha fatto orientare le indagini su un unico imputato, sicuramente quello sbagliato, cancellando le impronte del vero assassino che sono irrimediabilmente andate perdute. Alberto Stasi verrà sicuramente assolto perché le prove lo assolvono, ma ciò non significa che si arriverà all’identità di chi quella mattina di sei anni fa uccise la ragazza.