Minivocabolario di Paolo Tebaldi
Le stagioni non sono più quelle di una volta, quando l’inverno era rigido, la primavera dolce, l’estate afosa e l’autunno uggioso. Oggi puoi imbatterti in giornate tiepide a dicembre, ripararti da violenti temporali in agosto e festeggiare la Pasqua con la neve. Non ci si raccapezza più. Fai appena in tempo a mettere gli indumenti pesanti sotto naftalina che già li devi indossare di nuovo. I meteorologi faticano le sette fatidiche camicie per azzeccare le previsioni di fine settimana, per cui non sai se organizzare una gita fuori porta o restartene rinchiuso in casa a sorbirti le cazzate della TV. I nostalgici del passato rimpiangono le epoche felici quando si andava al mare dalla metà di giugno ai primi di ottobre e, nei mesi freddi, era inevitabile buscarsi i geloni al naso, alle orecchie e ai piedi. Gli appassionati di fotografia andavano a riprendere gli stessi paesaggi: casolari solitari, alberi maestosi, rocche vetuste che mutavano sembianze, colori, effetti di luci, volumi e ad ogni cambio di stagione, si evolveva la psicologia interiore dei luoghi e il senso della loro storia.
Oggi vai in ferie in qualche località balneare e quando ritorni, avvilito e frustrato, gli amici si stupiscono di vederti la carnagione più chiara di quando eri partito. Se vuoi organizzare una grigliata in campagna, un picnic sulla riva del ridente lago di Zurigo, dalle parti di Männedorf o di Wädenswil, o se intendi partecipare ad uno slalom nei Grigioni, non serve consultare le previsioni del tempo. Devi vivere alla giornata, alzarti presto la mattina della partenza, e scrutare il cielo, come fanno i pescatori prima di calare le barche in mare. E non é detto che l’assenza del più piccolo nembo non si trasformi, nel bel mezzo della escursione, in un nubifragio da diluvio universale.
Sono cambiate le stagioni, esclamiamo ad ogni stormir di fronda, stizziti perché il nostro stile di vita, i programmi per i weekend vengono continuamente condizionati dai capricci dei fenomeni atmosferici. In realtà, cambiati siamo noi. Noi, responsabili del buco nell’ozono, dell’inquinamento dell’aria, della strage dei boschi e delle foreste, della motorizzazione selvaggia e di ogni altra diavoleria, nemica delle difese naturali del pianeta. La globalizzazione non è solo finanziaria, dei capitali e delle merci, dei profitti e delle scoperte multimediali, con tutti gli sconvolgimenti economici e sociali che comporta. E anche quella che accomuna paesi, regimi e governi diversi, poteri locali e sovranazionali nella conduzione di politiche deboli, quando non addirittura inesistenti sul fronte delle strategie di protezione degli ecosistemi a misura d’uomo. D’accordo, il progresso scientifico, teconologico, la rete e gli universi virtuali hanno dei costi inevitabili. Ma non si potrebbero trovare alternative capaci di limitare i danni e privilegiare la qualità della vita ponendo la dignità dei cittadini, la convivenza civile, il rispetto dei diritti universali dell’uomo al centro di ogni scoperta, di ogni invenzione, di ogni progresso industriale? Sarebbe triste dover rinunciare per sempre a quell’armonioso avvicendarsi delle stagioni che fece da cornice alla vicende della nostra adolescenza, quando ogni periodo dell’anno offriva suoni, umori, colori propri, le cui scansioni ti ricordavano il divino movimento dei concerti di Vivaldi, delle sinfonie di Mozart, delle ouverture di Rossini. Che gli amanti del passato non abbiano tutti i torti?
Non é la neve / o grandine improvvisa / né lievi frange o semi come perle. / Che strana pioggia, timida e scontrosa / ci sfiora appena aprendo varchi / nel turchino cielo. / Sberleffo, carezza, sfrontato inchino, / per un tiepido mattino / che già annunzia marzo, / incerto tra organze di primavera / o rigori e nuvole d’inverno. / Queste stagioni della nostra vita / fragili come gli amori estivi, / hanno un tempo ambiguo, / mutevole e scontroso, / oppure trepido / come un bimbo che cerca il seno materno. / Un senso d’angoscia, / di timida speranza, / traversa, tra gioie effimere / e deluse attese, / l’alternarsi impaziente / di stagioni arcane.