Epifani: “Tutti i nostri il 9 settembre voteranno sì”, il Pd “non concederà un solo metro di vantaggio a Berlusconi”
Il tema della “decadenza” di Berlusconi sta facendo salire la temperatura tra i maggiori partiti che sostengono il governo Letta, in particolare il Pd e il Pdl. La settimana scorsa abbiamo cercato di illustrare le posizioni in campo, che vedono il Pd e il Pdl su posizioni opposte, rigorosamente e tenacemente opposte. Abbiamo detto che sul terreno politico non c’è incontro tra le due posizioni, perché la cosiddetta decadenza da senatore è vista con occhi e interessi politici diversi. Nostro malgrado, dobbiamo tornare sull’argomento visto che giornali e tv non parlano che di questo e dunque questa è la materia politica.
In seguito alla condanna di Berlusconi a 4 anni sui diritti Mediaset (frode fiscale), l’interessato, a partire da metà ottobre, dovrà scegliere tra gli arresti domiciliari per un anno o comunque fino al mese di luglio 2014, e dunque il silenzio, e il servizio sociale, dal leader Pdl già escluso perché, ritenendo di essere stato condannato da innocente, non deve “essere rieducato”. La condanna a più di due anni comporta (o può comportare), in base alla legge Severino del 31 dicembre 2012, la decadenza dalla carica di senatore, quindi l’impossibilità di esercitare il proprio ruolo di leader del centrodestra.
I termini della questione, precisati da Berlusconi e ribaditi domenica scorsa in un’intervista al Corriere della Sera da Sandro Bondi, è che il problema è politico e “non riguarda il presidente Berlusconi, ma la democrazia. C’è una questione che riguarda il bilanciamento dei poteri, che suggerisce, come ha detto anche il presidente Napolitano, una profonda riforma della giustizia in Italia. E poi c’è una questione che riguarda il trattamento inflitto al leader del centrodestra, al quale si deve riconoscere la possibilità di rappresentare un elettorato maggioritario nel nostro Paese”. Lo stesso presidente Napolitano ha scritto che a Berlusconi va riconosciuto il diritto di essere leader del centrodestra, ma che esiste una condanna definitiva che comporta conseguenze giuridiche da rispettare. La legittimazione alla leadership politica viene data dagli elettori e nessuno può negarla, ma le conseguenze giuridiche e giudiziarie della condanna sono criticabili ma non cancellabili con un colpo di spugna. Ne consegue che ogni soluzione riguardante l’”agibilità politica” non può che essere ricercata attraverso le leggi, non attraverso provvedimenti ad personam.
Il Pd, fondamentalmente, fin dall’inizio, ha detto, per bocca del segretario Epifani, che “la sentenza va accettata e eseguita”. Nel corso del mese di agosto la posizione del Pd non è mutata. Siccome la Giunta del Senato per le immunità dovrà riunirsi il 9 settembre e decidere sulla decadenza di Berlusconi, sia vari senatori del Pd presi singolarmente, sia il partito in quanto tale, hanno già deciso che voteranno per la decadenza.
Il responsabile dell’Organizzazione, Davide Zoggia, a nome del partito ha detto: “Possiamo comprendere il travaglio che sta affrontando il Pdl, ma non per questo è pensabile che si possano eludere le leggi e non rispettare le sentenze. Ci auguriamo che il Pdl trovi la forza di scindere le questioni giudiziarie dall’azione che il governo sta portando avanti per il bene del Paese e degli italiani”. Quando il ministro Cancellieri ha lanciato la proposta dell’amnistia, Epifani l’ha esclusa con un giudizio lapidario: “Non se ne parla nemmeno”. Quanto alla Giunta al Senato, il 9 settembre “tutti i nostri voteranno sì (alla decadenza, nda). Insomma, nel Pd nessuno vuol concedere “un solo metro di vantaggio a Berlusconi”.
La questione si potrebbe risolvere facilmente se Berlusconi accettasse di rimanere per un anno agli arresti domiciliari e in silenzio. E’ il consiglio che gli ha dato anche Pannella, ma il consiglio è stato respinto, perché – ed ecco la novità giuridica che si va precisando – Berlusconi ritiene che l’agibilità politica possa essere ottenuta in punta di diritto. Di qui il dibattito sulla legge Severino che ha coinvolto numerosi e autorevoli giuristi non sospetti di simpatie berlusconiane. La legge Severino all’articolo 1 dice che “non possono essere candidati coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione”. Dunque Berlusconi dovrebbe decadere in base all’art. 1 di questa legge. Però, notano i giuristi, la stessa legge dice che “le sentenze definitive di condanna (…) sono immediatamente comunicate (…) alla Camera di appartenenza ai fini della relativa deliberazione”. Quando si parla di “deliberazione”, s’intende una manifestazione di volontà, quindi una decisione vincolante. L’art. 66 della Costituzione prevede che la valutazione sulla eleggibilità o meno dei parlamentari spetti solo al Parlamento. Il voto dell’Aula del Senato, dunque, può annullare quanto previsto dalla legge ordinaria in quanto prevale il testo della Carta. Come si vede, la questione da giuridica (il rispetto della sentenza) ridiventa politica e questo carattere glielo dà la Costituzione stessa. Ed è qui che sorgono le difficoltà, perché il Pdl e il Pd hanno interessi contrastanti. L’uno, il Pdl, vuole sopravvivere alle vicende giudiziarie del suo leader, l’altro, il Pd, non vuole concedergli nessun vantaggio, pena il rinnegamento della sua storia.
In definitiva, la questione sarebbe di non difficile soluzione, basterebbe un accordo tra i due partiti che sostengono il governo e la soluzione sarebbe pronta, ma le cose semplici in Italia diventano le più complicate, rese tali da decenni di arroccamenti e delegittimazioni reciproche. Il guaio è che a farne le spese saranno probabilmente gl’italiani.