La Commissione federale contro il razzismo, in un parere pubblicato mercoledì, afferma che i manifesti dei promotori dell’iniziativa «Contro l’edificazione di minareti» offendono la popolazione musulmana che vive pacificamente in Svizzera.
La Commissione (CFR) ha tuttavia rinunciato a pronunciarsi in favore o contro l’affissione dei manifesti, lasciando agli esecutivi comunali la responsabilità di decidere se autorizzarla o no. Dopo San Gallo e Ginevra, anche Zurigo, Winterthur e Lucerna hanno dato il nulla osta ai manifesti della campagna per il sì all’iniziativa. Contrarie sono al momento Friburgo, Basilea, Losanna, Yverdon e Montreux.
I manifesti raffiguranti in primo piano una donna in burqa e sullo sfondo minareti che svettano sulla bandiera rossocrociata «veicolano un’immagine minacciosa dell’Islam», scrive in una nota la CFR.
Il messaggio trasmesso dai manifesti suggerisce che la minoranza musulmana vuole dominare la popolazione elvetica, sottomettere le donne e non rispettare i diritti fondamentali.
Le reazioni dei partiti non si sono fatte attendere ed è tornato alla ribalta il tema dell’intervento dello stato per limitare la libertà d’espressione.
Di che si tratta?
Accusata di praticare una forma di censura, la CFR ha ribadito che anche alla libertà d’espressione vanno posti dei limiti, specialmente quando questa rischia di essere discriminatoria rispetto a una minoranza e fomenta l’odio. «Il dibattito politico è importante in uno stato di diritto, ma a volte è necessario mettere un freno alla libertà d’espressione», ha dichiarato a swissinfo.ch la vicepresidente della CFR Sabina Simkhovitch-Dreyfus.
Il comitato promotore dell’iniziativa contro la costruzione di minareti è composto soprattutto da rappresentanti dell’Unione democratica di centro (UDC, destra nazional-conservatrice) e dell’Unione democratica federale (UDF, partito di matrice cristiano-riformata molto conservatore).
I cittadini svizzeri saranno chiamati ad esprimersi su questo discusso argomento il 29 novembre 2009. Secondo un sondaggio del Tages Anzeiger, pubblicato l’8 ottobre, l’iniziativa dovrebbe essere respinta con il 51,3% dei voti, mentre la percentuale dei favorevoli è del 34,9%. Molti sono ancora gli indecisi (13,8%).
In una nota diramata il 6 ottobre, l’esecutivo di Losanna ha definito i manifesti «razzisti, irrispettosi e pericolosi», spiegando così la sua decisione di vietarli.
«I limiti della libertà di espressione sono stati superati», ha puntualizzato il consigliere comunale Olivier Français. «Ciò che mi sciocca particolarmente è la violenza e il razzismo che emergono dal messaggio e l’abuso della bandiera svizzera».
La battaglia dei sì e dei no è in pieno svolgimento. Contro i manifesti si sono espresse anche le città di Basilea e Fiburgo. Le autorità basilesi hanno preso la loro decisione sulla base dell’ordinanza sui cartelloni, la quale vieta manifesti che «volutamente diffondono ideologie razziste».
Le città di Ginevra, Zurigo, Lucerna, Winterthur e San Gallo hanno invece dato la priorità alla libertà di espressione.
L’editore Ringier, che controlla tra l’altro il quotidiano più venduto del paese (Blick), ha annunciato che non pubblicherà i manifesti sulle pagine dei suoi giornali. Il Tages Anzeiger e 20 Minuten, gestiti da Tamedia, hanno a loro volta annunciato che non daranno spazio alla campagna dei promotori dell’iniziativa.
«Una commissione non legittimata democraticamente si atteggia ad autorità di censura come se fosse in uno stato comunista o nel Terzo Reich», hanno scritto in un comunicato i giovani UDC, prima ancora di conoscere la posizione ufficiale della Commissione federale contro il razzismo.
Il comitato di promozione dell’iniziativa ha definito come «arbitraria» la decisione basilese di proibire l’affissione dei manifesti. Sarebbe un attacco alla libertà di espressione.
Alcuni osservatori ritengono che vietare i manifesti ottenga un effetto contrario a quello desiderato e non sia altro che pubblicità gratuita ai promotori dell’iniziativa.
Il municipale Olivier François difende invece la decisione di Losanna e contesta questo argomento: «I manifesti e il loro messaggio aumenteranno il loro grado di notorietà sia vietandoli, sia autorizzandoli. Le autorità devono prendersi le proprie responsabilità riguardo ai limiti [da porre alla libertà d’espressione].
La lezione delle pecore nere
L’Unione democratica di centro non è nuova a questo tipo d’operazione: la provocazione è la chiave di molte sue campagne.
«È un partito che ha sempre flirtato con la linea di confine» tra politicamente corretto e no, afferma il politologo Oscar Mazzoleni. «È difficile sottrarsi a questo gioco. I manifesti dell’UDC sollevano molte questioni», ha spiegato Mazzoleni al quotidiano Le Matin.
Nel 2007, il partito ha utilizzato un manifesto in cui i «criminali stranieri» venivano paragonati a pecore nere che andavano cacciate a calci dal paese.
Sempre nel 2007, in occasione delle elezioni federali, la sezione vallesana dell’UDC era stata aspramente criticata per un manifesto che raffigurava, di spalle, dei musulmani in preghiera davanti alla sede del parlamento e la scritta «Usate la testa! Votate UDC». Con una sentenza dell’aprile 2009, il Tribunale federale ha però ritenuto che il manifesto non violasse le disposizioni contro il razzismo.
Sabine Simkhovitch-Dreyfus è dell’avviso che la Svizzera abbia ancora molto da imparare dalla lezione delle «pecore nere». L’articolo inserito 15 anni fa nel codice penale con l’obiettivo di combattere certe forme di discriminazione razziale «è una buona cosa, ma non abbastanza. La Svizzera deve cercare altri modi per contrastare la discriminazione».